di Francesca
Amidei
La scelta porta alla crisi. La crisi mette tutto in discussione.
I pensieri scorrono veloci, accavallandosi nella mente. La risposta non è
vincere e neppure perdere, entrambe risultano giuste ed errate allo stesso
tempo.
C'è un'era
per essere folli ed egoisti. E un momento per affidarsi alla ragione. Colpi
estemporanei lasciano spazio a quadri tattici precisi, giusti, che portano
punti a ripetizione. Un gioco ordinato, sintomatico di un' intelligenza
tennistica acquisita nel tempo.
Il passaggio
da un mood all'altro è il risultato di una trasposizione interna, come
l'adattamento di un'opera per adeguarla a una forma espressiva diversa.
Rielaboriamo il nostro tennis secondo canoni più redditizi, un gioco
economicamente vantaggioso che non ci lascia esprimere liberamente.
Questa è la
linea di confine. Il nostro momento zero, staccarci da un passato che ci
appartiene ma che ora risulta stretto, verso un futuro di cambiamento e
concretezza. Una presa di coscienza del nostro reale valore sul campo che
aspetta solo, di essere certificato dai fatti.
La
prestazione sovrasta prepotentemente il binomio vittoria/sconfitta, oramai
troppo banale per essere considerato come parametro di realizzazione personale.
Giocatore, in fondo, significa essere in grado di esprimere il proprio massimo
in ogni specifica partita.
Questa è la
chiave di una raggiunta stabilità che ci porta a ottimizzare il nostro
rendimento odierno, lasciandoci scivolare addosso quel senso di impotenza per
un tennis meno esplosivo. E in questo frangente torna utile la frase ripetuta,
in diversi idiomi, dai coach di tutto il mondo:
"Prima
l'uomo, poi il tennista."
Infatti in
campo, per quanto può risultare banale, non scende il giocatore ma la persona.
Quell'uomo che, attraverso l'esperienza accumulata barcamenandosi tra successi
e sconfitte, ha imparato a scegliere superando i momenti di crisi.
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