PASSIONE, WHERE ARE YOU?
di Francesca Amidei
A nord di Roma, nella segreteria di un circoletto underground,
si parla del tempo che fu. Generazioni a confronto che ricordano infanzie
passate. Tempi in cui la tecnologia nasceva, ma non aveva ancora tolto spazio
alla creatività. Le naturali bravate venivano condivise live con gli amici di
turno, non contaminate dalla spasmodica ricerca del like.
Sicuro godevamo di più libertà, scuola a parte, rispetto alla
odierna tendenza dei pomeriggi programmati. Sceglievamo un solo sport, nel
nostro caso il tennis, e facevamo carte false per prolungare la permanenza sul
campo ben oltre il termine dell'allenamento. Capace che dovevamo aspettare
anche un paio d'ore e palleggiare nei campetti con i bimbi del mini tennis. Ma
eravamo disposti a tutto pur di ottenere un campo per finire il match, iniziato
quando batteva ancora il sole.
Sulla terra rossa l'ossessione per lo studio non ci sfiorava. A
quello pensavamo una volta sull'autobus. Eh si, usavamo questi strani cassoni
su ruote. C'era consentito di camminare e andavamo persino a scuola con il
borsone. Tempi in cui, i parcheggi dei circoli, non erano intasati da mostruosi
suv.
Il tennis era la nostra passione. Sapevamo che non saremmo
diventati dei tennisti, ma avevamo il permesso di sognarlo. A modo nostro ci
abbiamo provato. Ognuno con i propri mezzi, qualche match indimenticabile da
narrare e quelle trasferte al nord più forgianti di duecento giorni di scuola.
Siamo all'inizio di un nuovo decennio in cui, se chiedi a un tredicenne cosa
desidera fare da grande, risponde, con lo sguardo vuoto fisso sulle sue
stringhe, il dirigente in banca.
La società del denaro da noi generata, ha privato i ragazzi del
diritto di sognare. La passione viene sommersa dal turbine di attività che
devono quotidianamente affrontare. Marchio di un benessere economico che
prosciuga le emozioni. Menti in erba ingannate dal possedere beni materiali,
che li derubano dal vivere vere esperienze. Apparecchi tecnologici bollati con
una mela, comandati a voce, che prolungano la solitudine offrendo falsa
compagnia.
Sarebbe bello ritrovare la semplicità almeno nello sport, nel
tennis. Si ammazzava il tempo insieme, eravamo tutti lì nell' attesa di
scendere in campo per giocare il nostro match di torneo. Guardavamo le partite
degli altri, tifando gli amici e applaudendo i bei colpi dei loro avversari. Avevamo
la competizione nel sangue, alimentata da panini al prosciutto e dai mitici
succhini. Di racchetta ne bastava una, se rompevi te la prestavano (oggi il
regolamento lo vieta).
La passione era il collante che teneva insieme giornate come
queste. Lei promuoveva esperienze e ci dava la spinta per superare una
sconfitta. Nel 2020 sembra impossibile vedere quel luccichio negli occhi di un
ragazzo che mai, si sognerebbe di tornare a casa e trasformare la propria
camera nel Philippe Chatrier, con i cuscini del divano al posto della rete.
PASSIONE, what happened
to you?
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