di Francesca Amidei
Stravolgere l'habitat naturale. In apparenza la sostanza rimane
uguale ma poi si scopre che il mulinello nella bandeja non esiste, che aperture
e finali meglio non farli e soprattutto che il pallonetto è un colpo
offensivo...
Una vita in topspin
Passiamo vent'anni della nostra vita tennistica a produrre e
subire colpi in topspin. A girare sempre più l'impugnatura di dritto per
regalare alla palla maggiore complessità, con lo scopo, di alterare il punto di
impatto dei nostri avversari. Poi arriva il padel. E come per incanto il famoso
topspin ci si rivolta contro perché la palla, con questa rotazione, esce alta
da parete e può essere facilmente attaccata.
Ci ritroviamo in balia del nostro colpo migliore.
Ci ritroviamo in balia del nostro colpo migliore.
Il gioco di sponda
Per noi tennisti quando la palla ti passa ci sono tre opzioni
plausibili: sperare che esca, battere le mani all'avversario o molestare la
racchetta. Girarsi e giocare di sponda, del tutto innaturale. E la doppia
parete più difficile da capire del teorema di Pitagora, come giocare a Slam
ball, il basket con i trampolini. Lasciar passare la palla, un mantra imprescindibile
per smettere di giocare a tennis in un campo omologato per un nuovo sport noto
come padel.
L’alter ego
Capire noi stessi è impresa assai ardua. Comprendere le idee
altrui richiede poteri sovrannaturali. Nel tennis si dice che giochiamo contro
due persone contemporaneamente, noi stessi e l'avversario. A conti fatti
significa che nel padel siamo uno contro quattro, un miracolo uscirne vittoriosi.
Bisogna trovare un partner, socio per l'esattezza, che ci completi tecnicamente
ma anche in grado di comprendere la nostra personale follia. Una sintonia da
affinare con il tempo così come accettare, che l'esito del match, questa volta
non dipende solo da noi. Dividiamo la responsabilità di una
vittoria o di una sconfitta con la persona che occupa la nostra stessa metà
campo.
In breve il nostro alter ego.
In breve il nostro alter ego.
Questione di centimetri
Ventidue virgola cinque centimetri in meno. Tradotto significa
ridimensionare la distanza e l'impatto sulla palla. Nulla di impossibile,
ovvio, ma quanto ci farebbe piacere a noi tennisti avere un pezzo in più di
"padella" nei colpi sopra la testa. Trovare il giusto timing sulla
palla, così da fondere la propria tecnica tennistica ai colpi tipici del padel.
Infondo, è solo una questione di centimetri.
Quindi la difficoltà sta nell'uscire dal campo da tennis per
catapultarsi in quello da padel, come un pesce che passa dalle acque libere
alla boccia. Il padel non inquina il nostro tennis ma si trascina appresso le
sue scorie, con l'esecuzione di gesti tecnici impeccabili ma non produttivi.
Diventare padellari in un lento processo di riadattamento tecnico/tattico
abbandonando, quei cavalli di battaglia, come il dritto anomalo che era alla
base del nostro tennis.
Uscire dalla gabbia significa mettersi realmente in gioco in un
nuovo sport, senza più nascondersi dietro quel braccio ben educato. Aprire la
mente a colpi, schemi e situazioni emozionali ad un primo approccio simili ma
diverse nel profondo. Mettere da parte credi tennistici della serie "chi
picchia per primo picchia due volte" e armarsi di sana pazienza, all'insegna
di punti infiniti che ci porteranno a ricominciare lo scambio fino alla nausea.
Il tennis è stato il nostro primo amore ma, come nella vita, non
è detto che debba essere anche l'ultimo...
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