giovedì 31 gennaio 2019

Il Tennista in Gabbia


IL TENNISTA IN GABBIA




di Francesca Amidei

Stravolgere l'habitat naturale. In apparenza la sostanza rimane uguale ma poi si scopre che il mulinello nella bandeja non esiste, che aperture e finali meglio non farli e soprattutto che il pallonetto è un colpo offensivo...

Una vita in topspin

Passiamo vent'anni della nostra vita tennistica a produrre e subire colpi in topspin. A girare sempre più l'impugnatura di dritto per regalare alla palla maggiore complessità, con lo scopo, di alterare il punto di impatto dei nostri avversari. Poi arriva il padel. E come per incanto il famoso topspin ci si rivolta contro perché la palla, con questa rotazione, esce alta da parete e può essere facilmente attaccata.
Ci ritroviamo in balia del nostro colpo migliore.

Il gioco di sponda

Per noi tennisti quando la palla ti passa ci sono tre opzioni plausibili: sperare che esca, battere le mani all'avversario o molestare la racchetta. Girarsi e giocare di sponda, del tutto innaturale. E la doppia parete più difficile da capire del teorema di Pitagora, come giocare a Slam ball, il basket con i trampolini. Lasciar passare la palla, un mantra imprescindibile per smettere di giocare a tennis in un campo omologato per un nuovo sport noto come padel.

L’alter ego

Capire noi stessi è impresa assai ardua. Comprendere le idee altrui richiede poteri sovrannaturali. Nel tennis si dice che giochiamo contro due persone contemporaneamente, noi stessi e l'avversario. A conti fatti significa che nel padel siamo uno contro quattro, un miracolo uscirne vittoriosi. Bisogna trovare un partner, socio per l'esattezza, che ci completi tecnicamente ma anche in grado di comprendere la nostra personale follia. Una sintonia da affinare con il tempo così come accettare, che l'esito del match, questa volta non dipende solo da noi.  Dividiamo la  responsabilità di una vittoria o di una sconfitta con la persona che occupa la nostra stessa metà campo.
In breve il nostro alter ego.

Questione di centimetri

Ventidue virgola cinque centimetri in meno. Tradotto significa ridimensionare la distanza e l'impatto sulla palla. Nulla di impossibile, ovvio, ma quanto ci farebbe piacere a noi tennisti avere un pezzo in più di "padella" nei colpi sopra la testa. Trovare il giusto timing sulla palla, così da fondere la propria tecnica tennistica ai colpi tipici del padel. Infondo, è solo una questione di centimetri.


Quindi la difficoltà sta nell'uscire dal campo da tennis per catapultarsi in quello da padel, come un pesce che passa dalle acque libere alla boccia. Il padel non inquina il nostro tennis ma si trascina appresso le sue scorie, con l'esecuzione di gesti tecnici impeccabili ma non produttivi. Diventare padellari in un lento processo di riadattamento tecnico/tattico abbandonando, quei cavalli di battaglia, come il dritto anomalo che era alla base del nostro tennis.

Uscire dalla gabbia significa mettersi realmente in gioco in un nuovo sport, senza più nascondersi dietro quel braccio ben educato. Aprire la mente a colpi, schemi e situazioni emozionali ad un primo approccio simili ma diverse nel profondo. Mettere da parte credi tennistici della serie "chi picchia per primo picchia due volte" e armarsi di sana pazienza, all'insegna di punti infiniti che ci porteranno a ricominciare lo scambio fino alla nausea.

Il tennis è stato il nostro primo amore ma, come nella vita, non è detto che debba essere anche l'ultimo...


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