di Francesca
Amidei
Lì in fondo al boschetto con il sole a picco ed un silenzio tale
che ti permette di ascoltare i tuoi pensieri, c'è il campo sei. La leggenda
narra che tutti i maestri che vanno a lavorare sull' isola che non c'è, tranne
quelli speciali, devono fare almeno un turno in quello che è stato rinominato
dai più the hell's court. Ciò che fa veramente paura nel campo dell' inferno
non è il caldo ma la solitudine.
Dopo anni passati a parlare con noi stessi nel bel mezzo di quel deserto rosso delimitato da righe bianche chiodate che ci danno un falso senso di finito, abbiamo l' occasione di lavorare in un susseguirsi di campi dove tutto procede con la stessa naturalezza con cui gli ottoni si alternano agli archi. Respiriamo un' aria nuova e percepiamo che qui, depurati dalla nostra routine, sta accadendo qualcosa di diverso che inebria le nostre menti fino a restituirci quella passione primordiale che ci ha spinto anni addietro a scegliere l' arte dell' insegnamento del tennis.
Siamo sopraffatti dalla stanchezza psicofisica, perché quella c'è e si sente, eppure stiamo in campo giorno dopo giorno con un sorrisetto perpetuo dipinto sul volto che, inevitabilmente, smentisce la nostra proclamata impazienza di tornare al mondo reale. È come se camminassimo per sei giorni in bilico su un filo trasparente oscillando ad ogni passo senza cadere mai, tenuti in equilibrio dalla consapevolezza che in questa avventura non siamo soli.
Dopo anni passati a parlare con noi stessi nel bel mezzo di quel deserto rosso delimitato da righe bianche chiodate che ci danno un falso senso di finito, abbiamo l' occasione di lavorare in un susseguirsi di campi dove tutto procede con la stessa naturalezza con cui gli ottoni si alternano agli archi. Respiriamo un' aria nuova e percepiamo che qui, depurati dalla nostra routine, sta accadendo qualcosa di diverso che inebria le nostre menti fino a restituirci quella passione primordiale che ci ha spinto anni addietro a scegliere l' arte dell' insegnamento del tennis.
Siamo sopraffatti dalla stanchezza psicofisica, perché quella c'è e si sente, eppure stiamo in campo giorno dopo giorno con un sorrisetto perpetuo dipinto sul volto che, inevitabilmente, smentisce la nostra proclamata impazienza di tornare al mondo reale. È come se camminassimo per sei giorni in bilico su un filo trasparente oscillando ad ogni passo senza cadere mai, tenuti in equilibrio dalla consapevolezza che in questa avventura non siamo soli.
CONDIVISIONE è questa la parola, il concetto che fatica a
trovare concretezza nei nostri circoli. Eternamente sospeso tra la voglia di
creare un team e l' umana paralizzante paura di fidarsi e affidarsi ad una o
più persone con cui realizzare un progetto tennistico, di vita. Quindi
condividere significa avere il coraggio di mettersi in gioco ed essere aperti
ad un confronto quotidiano, e perché no anche allo scontro se necessario, con
colleghi - soci - amici con cui viviamo in simbiosi giorno dopo giorno.
Queste poche righe dipingono un luogo reale a tinte chiare ma
vivaci e per quanto ci possa sembrare solo un' utopia, come scrive Edoardo
Bennato nella sua celebre canzone, non dobbiamo mai smettere di lottare per
costruire la nostra isola che non c'è.
"E non è un' invenzione e neanche un gioco di parole
se ci credi ti basta perché poi la strada la trovi da te..."