martedì 26 dicembre 2017

Cortocircuito

CORTOCIRCUITO






di Francesca Amidei

Una partita di tennis non è come un circuito elettrico chiuso in cui la corrente elettrica fluisce con continuità ma un groviglio di fili elettrici con un altissimo rischio di cortocircuito. Momenti di alta e bassa tensione si alternano nell'arco del match con assoluta imprevedibilità, come il nostro battito cardiaco che accelera e decelera in modo irregolare governato da quelle emozioni che farebbero impazzire qualsiasi elettrocardiogramma negandoci l'idoneità agonistica.

Annullare ogni distrazione esterna immaginando di giocare in un campo costruito all'interno di una camera insonorizzata dove non ci sono suoni, non penetrano rumori nel tentativo di estraniarsi per un paio d'ore dalla vita frenetica che ci appartiene. Il cellulare in modalità aereo testimonia che siamo sul pezzo, centrati a colpire la palla e a dettare i ritmi dell'incontro.

Il sangue scorre fluido nell'apparato circolatorio, il nostro personale circuito elettrico in cui il cuore è la pompa centrale, fino a quando riusciamo a ignorare il flusso di pensieri futuristici che intasano la mente. È l'idea fugace di ciò che potrà accadere che ci distacca dal presente, altera lo scandire delle pulsazioni, modifica il nostro equilibrio interno provocando un piccolo cortocircuito come il brivido di un bacio.

Un black out da ripristinare in tempi brevi per arginare l'emorragia di punti che rimette in discussione le sorti del set. Essendo un gioco a due riceveremo dei continui stimoli esterni da colui che si trova al di là della rete esattamente a 23,77 metri da noi. Distanza che all'interno di una comunicazione viene definita dalla prossemica come spazio pubblico ma anche la semiologia sa che, il campo da tennis, annulla le leggi spaziali e ogni forma di comunicazione avviene nella sfera intima.

Ogni interruttore è associato a un circuito, è importante non riattaccare la corrente prima di aver trovato il problema per evitare di prendere la scossa e perdere definitivamente il match. Quindi dobbiamo capire qual'è il circuito vittima del guasto che ci fa chiudere la vena, che ci porta via la serenità e che trasforma il piacere di giocare in nauseante frustrazione.

Individuare dov'è localizzato il cortocircuito - asciugamanino in faccia al cambio campo inspirando ed espirando profondamente per capire la causa che l'ha provocato - per riaccendere la luce dentro di noi prima di rischiare di rimanere al buio.



mercoledì 29 novembre 2017

Ice or Fire

ICE OR FIRE





di Francesca Amidei

La vittoria o la sconfitta per un tennista è una questione di vita o di morte. Quando scendiamo in campo paura, ansia, angoscia, rabbia, tensione danno consistenza ai nostri colpi altrimenti vuoti. La mente ha l'arduo compito di resettarsi a ogni singolo punto, cancellare il passato e ignorare l'imminente futuro, per mantenere quel sottile equilibrio tra impassibilità e impazzimento.

Li chiamano Iceman, uomini di ghiaccio. Tennisti mono espressivi a cui non è concesso mostrare all' esterno le loro emozioni. Respiro regolare, battito cardiaco ritmato a testimoniare un controllo totale di se che non viene scalfito dallo scorrere imprevedibile dei punti. Una cura maniacale dei dettagli scandita da un rituale pre-match caratterizzato da una sequenza standardizzata di piccoli gesti che congelano il cuore e incanalano la mente, imperturbabile in campo come un iceberg nell'oceano.
Tennisti glaciali, ragazzi iracondi con il fuoco vivo dentro e la sconfinata voglia di diventare i migliori. Un duro lavoro su se stessi, un percorso di crescita lungo una vita per domare quelle insicurezze e riscrivere la storia del tennis vincendo cinque Wimbledon consecutivi. Per eguagliare quel record e divenire con l'ottavo sigillo il King assoluto dell'erba londinese:


"... Anche Borg aveva un carattere irascibile, tanto che da giovane fu espulso per sei mesi dal suo circolo per comportamento antisportivo; anche lui provava ansia, paura, tensione, rabbia ma aveva imparato a controllarla con l'aiuto del suo allenatore, giocando la partita punto dopo punto..."


(Borg McEnroe di Janus Metz)


"... Quando ha trovato la risposta a quei tormentosi perché, ha chiuso il rubinetto di imprecazioni, smoccolamenti e strazi di racchette e ha iniziato a vincere davvero..."

(Roger Federer, La Gazzetta dello Sport)


Il tennis è strategia e istinto, sicurezza e rischio, calma e agitazione, equilibrio e pazzia. Giochiamo all'ombra di un vulcano attivo con il perenne problema di mettere a punto strategie vincenti per mitigare i rischi di un'eventuale eruzione. Sappiamo che se lava zampilla fuori per noi i giochi sono finiti, abbiamo superato il nostro limite e da quel momento in poi non riacquisteremo più il controllo del match. Per rimanere in partita fino alla fine dobbiamo contenere le nostre emozioni nella pancia fiammeggiante del vulcano mantenendole attive in una nube di cenere che appare e scompare alla vista dell'avversario.

L'ossimoro ghiaccio o fuoco colpisce l'immaginario del tennista fino a suscitare una serie di emozioni contrastanti conducendolo con le loro suggestioni in un viaggio interiore dagli orizzonti infiniti, tra ghiacci e deserti sterminati.

martedì 31 ottobre 2017

Personalità Silenziosa

PERSONALITA’ SILENZIOSA






di Francesca Amidei

Sguardo intenso, camminata lenta, ritornello canticchiato in loop nella mente a ovattare i ripetuti c'mon o vamos urlati dall'altra parte della rete. Lo scorrere del match sembra non essere affar nostro chiusi in una bolla di sapone a pensare alla vita piuttosto che al punteggio e al colpo successivo, ma il campo ci da ragione perché una partita di tennis non è la risultante di un susseguirsi di esecuzioni biomeccaniche corrette ma più realisticamente un implosione di emozioni che cerchiamo di esprimere con movenze eleganti.

Vantaggio, servizio, errore, break, love sono termini del linguaggio tennistico che non si discostano molto dagli aspetti salienti che caratterizzano la nostra esistenza quotidiana. I saggi della racchetta sostengono che a parità di livello vince quasi sempre il giocatore con maggiore cultura a dispetto dei fautori di un allenamento totalizzante che ti rapisce alla vita, dove ogni singola partita diventa un'occasione unica di riscatto a quella buia routine di appiattimento umano.

In questo equilibrio apparentemente eterno in cui ci si annulla a vicenda sulle diagonali e il binomio servizio/risposta viaggia su simili percentuali, ogni pallina torna al di là della rete come se si fosse ribellata all'esito di quello schema pluri provato in allenamento. E cosa se non l'amore, la bellezza, la creatività, la poesia possono spezzare questo nauseante stallo e scongelare l'emisfero destro del nostro cervello sede dei sogni, dell'intuizione, dell'istinto per restituirci la libertà di espressione tennistica.

Osservare con mente aperta l'attività umana che ci circonda, ascoltare quel brusio continuo di voci che fanno da colonna sonora al mondo, curiosare tra le vite altrui per aggiungere nuovi tasselli alla nostra personalità silenziosa come un bambino che con i suoi mattoncini colorati crea, costruisce e modifica la sua opera d'arte fino a esserne pienamente soddisfatto per poi demolirla e dare nuovamente libero sfogo alla sua fantasia con nuove sculture.

Abbattiamo quei clichè tipici dell'età adulta che trovano sfogo nella cupa routine e tuffiamoci in realtà diverse per conoscere e toccare con mano gli infiniti set creativi per sentirci a volte protagonisti e altre volte comparse. Alla fine sul nostro palco in terra rossa siamo tutti attori ma alcuni recitano sempre lo stesso copione dando sfogo alla loro personalità rumorosa risultando inadeguati alla situazione. Al contrario chi ha acquisito la conoscenza del diverso sa districarsi in più ruoli, da testa di serie a sfidante, in totale armonia con tutte le diverse tipologie di tennis che la sua personalità silenziosa ha da offrirgli rimanendo sempre se stesso.


Il giorno che accoglieremo la vera bellezza nel nostro tennis alzando lo sguardo al cielo durante una partita per ammirare un incredibile tramonto, ricominceremo a creare gioco con traiettorie impossibili come costruire una navicella realista composta da 3500 pezzi.

lunedì 25 settembre 2017

Il Camaleonte

IL CAMALEONTE



di Francesca Amidei

Nel tennis moderno sono state definite cinque tipologie di giocatore per esaltare i punti di forza e nascondere le debolezze di ogni tennista, allo scopo di far emergere le caratteristiche individuali degli atleti. Tale classificazione stilata dagli addetti ai lavori si esplicita con l'attaccante da fondo, il contrattaccante da fondo, il completo a tutto campo, il giocatore d'attacco, il giocatore serve & volley e il camaleonte.

Le prime cinque tipologie sono universalmente riconosciute e quindi di facile comprensione per chi vive nel tennis e per il tennis. La sesta può invece suscitare un certo interesse come l'attenzione totalizzante di un bambino per un nuovo gioco. Una parola al di fuori di quel glossario ufficiale che si ripropone presuntuosamente di definire ogni singolo gesto e movimento che compiamo impugnando la racchetta.

Un rettile che per sua natura ha la capacità di mutare colore e mimetizzarsi con il mondo che lo circonda, non può limitarsi a impersonificare una tipologia di giocatore ma raccoglie al suo interno un significato simbolico ben più profondo. Una filosofia di vita improntata sull'adattamento estremo e repentino regolato dallo stato emotivo e questo principio va oltre le doti tecniche per le quali veniamo pubblicamente etichettati come giocatori X, perchè qui si parla della nostra essenza più profonda che rifiuta banali classificazioni per proteggere la sua libertà al cambiamento.

Allora camaleonte è colui che ingloba tutte le tipologie e nessuna, sa districarsi tra gli schemi standardizzati dei suoi avversari smascherando la loro natura tennistica a tinta unita che sbiadisce colpo dopo colpo nella ripetitività di un gioco magari redditizio ma cupo. Il camaleonte al contrario propone un tennis variopinto dove gioca con le sue debolezze perché sa che non possono rimanere nascoste per l'intera partita, per la vita e le sostiene alternandole con i punti di forza in un mix di colori incerti e fosforescenti che fondendosi insieme ci regalano un perfetto dipinto impressionista a tinte pastello in cui attacchi, difese, contrattacchi e discese a rete convivono in armonia.

La libertà di diversificare e creare un gioco sempre nuovo privo di punti di riferimento per noi e per gli altri. Il coraggio di rischiare, la voglia di andare oltre ciò che sappiamo fare per sperimentare il nuovo e arricchire il nostro bagaglio esperienziale. E poco importa se la palla corta rimane lunga, se l'attacco sfiora la riga senza accarezzarla o se la volèe un pò steccata ci fa subire un passante. Batteremo le mani al nostro amico al di là della rete consapevoli che quel applauso è anche per noi, perché ci siamo spinti oltre quella prigione tennistica e mentale dove ci siamo rinchiusi limitando la nostra libertà di espressione.

I camaleonti cambiano colore per amore e non semplicemente per mimetizzarsi con l'ambiente circostante, così noi dobbiamo competere per scoprire le variazioni cromatiche che più ci appartengono e non semplicemente per la vittoria.


martedì 22 agosto 2017

Flow of Time

FLOW OF TIME




di Francesca Amidei

Il tempo scorre inesorabile come l’acqua e niente può arrestare la sua corsa. I sassi sul letto del fiume, i novanta secondi di pausa dopo ogni gioco dispari sono solo degli accorgimenti naturali e umani per poter regolare un moto perpetuo scandito dall’alternarsi del sole con la luna.

Tutta la nostra esistenza viene divisa in fasi, dall’infanzia all’età adulta, passando attraverso il dramma adolescenziale e ognuna è contenuta nell’altra come in una matrioska. Se un pezzo manca il gioco va avanti ma perde la sua magia primordiale perché quel periodo che non abbiamo vissuto nel tentativo maldestro di ingannare il tempo prima o poi tornerà, alterando il nostro continuum.

C’è un tempo per vincere e c’è un tempo per perdere, l’uno prescinde dall’altro. La gioia per una vittoria non sarebbe tale se non si è prima conosciuta la sconfitta ed entrambi sono indispensabili per comporre il mosaico della nostra vita tennistica. Un giocatore levigato sa che è in continua trasformazione tra picchi prestativi, flessioni fisiologiche, momenti di stallo ma la vera abilità risiede nel cogliere l’attimo in cui questo passaggio avviene per accorgersi che la nostra zona di comfort del passato è diventata nel presente una prigione.

Sfruttare ogni istante sul campo per colpire la pallina sempre più forte mossi dall’umano desiderio di spingersi oltre, perché in fondo l’agonista vive di obiettivi da raggiungere e nuovi stimoli da inseguire. Un percorso lineare in cui farsi strada all’insegna del sacrificio e dell’allenamento per costruire negli anni quella classifica che ci dona un’identità tennistica, etichettandoci come giocatori di medio o alto livello. Il rischio però è di finire fuori strada alla prima curva quando nel momento decisivo del match eseguiamo il nostro schema che tanti punti ci ha regalato ma, per quanto il kick salta e il dritto ricade lì preciso nell’angolo, non riusciamo più a conquistare un quindici……

Arenarsi a un tempo remoto nell’ostinata ricerca di una soluzione tecnica, tattica o perfino fisica per restituire al nostro tennis quell’efficacia di cui è stato privato. Ma navighiamo alla cieca perché non vogliamo aprire gi occhi verso una realtà in perenne mutazione che non guarda indietro ma ci proietta verso un nuovo presente che pretende continui adattamenti per non finire nel pantano frustante della routine. Esempi lampanti nel nostro sport ne abbiamo da Federer a Nadal che per tornare competitivi hanno apportato delle sostanziali modifiche tecnico-tattiche al loro gioco adattandosi ai tempi che corrono, desatellizzandosi da quel tennis che tempo addietro li aveva portati alla ribalta mondiale.

Il tempo scorre, possiamo decidere di rincorrerlo ancorati alle nostre illusive certezze o starci dentro sperimentando la diversità del momento. Verrà il giorno in cui il back ci darà più punti del top, lo slice sarà più ficcante del kick e allora dovremo scegliere se raccontare una nuova vittoria o narrare il tempo che fu tra passato, presente e futuro.

“L’acqua che tocchi dei fiumi è l’ultima di quelle che andò e la prima di quella che viene. Così è il tempo presente.”

- Leonardo da Vinci -



giovedì 27 luglio 2017

Turning Point

TURNING POINT




di Francesca Amidei

La nostra storia contiene al suo interno dei momenti di svolta, come i picchi vitali di un encefalogramma altrimenti piatto. Una scelta esistenziale che chiude con un punto un paragrafo di vita, per andare a capo alla riga successiva e iniziare con la lettera maiuscola un nuovo capitolo.

Turning point, in italiano "punto di svolta", esprime questo concetto nel campo da tennis. Un unico quindici al termine del match rimane impresso nella nostra memoria perché, a posteriori, ci rendiamo conto che ha determinato le sorti dell'incontro. Alla fine le partite, anche quelle che durano cinque ore, girano su pochi punti e quindi basta pochissimo per indirizzare un match in una direzione piuttosto che in un' altra. In quegli attimi carichi di patos bisogna fare la differenza, tenere a bada le emozioni e tendere la mano alla paura per salvare una palla break o chiudere un game.

"La differenza fra me e Guy Forget? Lui faceva ace sul 15-0, io sul 30-40"

Questa frase inserita nelle citazioni celebri dei campioni di tennis e rilasciata da Boris Becker, rimarca che nel nostro sport la dimensione temporale del quando ha una maggiore rilevanza rispetto al binomio quale - quanto che indica qualità e quantità. Percepire il momento in cui ciò sta avvenendo mentre si è in campo richiede una grande sensibilità e la capacità di essere con la mente dentro al match, nel presente, senza vaneggiare sul futuro o deprimersi per un passato che non può più essere cambiato. Di solito in questa fase di crescente tensione lo scambio si allunga sconfinando ben oltre i tre colpi tipici del tennis moderno, regalandoci spesso un finale pirotecnico con magie degne di entrare nelle clip "the best shots" di fine torneo.

Per vincere quel punto lì bisogna osare eppure ci viene difficile, frenati fuori dal campo dai canoni di una società che ci esorta a rifugiarci in futili certezze. Quando arriva il turning point, se siamo in grado di riconoscerlo, capiremo che il tempo di tirare piano dentro aspettando l'errore dell'avversario è finito. L'amato compromesso, protagonista indiscusso del ventesimo millennio, dovrà lasciare spazio alla scelta folle ma pensata di giocare un vincente folcloristico perché cambiare è sempre strano ma il turbine di sensazioni che si provano tra smarrimento ed esaltazione sono la vera essenza della vita.


E allora viva chi ha il coraggio di fare un bel respiro, chiudere gli occhi e tirare a tutto braccio quel dritto che per troppi anni abbiamo trattenuto imprimendo sul terreno un segno indelebile, simbolo di un nuovo inizio tennistico che alla fine ci sembrerà così naturale come sposarsi dopo dodici anni di fidanzamento in un fantastico paesino tra i monti.

giovedì 29 giugno 2017

Try Again

TRY AGAIN




di Francesca Amidei

Il tennista è un eterno sognatore con un indole folle che oscilla tra euforia e depressione. Un incurabile ottimista che conserva intatti nella memoria a lungo termine i ricordi più preziosi delle infinite battaglie giocate, emozioni correlate come gioia o dolore riaffioreranno in noi quando penseremo al tempo che fu.

In uno sport in cui l' unico epilogo possibile è vincere o perdere dobbiamo riflettere a fondo sul rapporto che abbiamo con la sconfitta. Sia chiaro che rosicare è lecito. Immaginiamo al termine di una partita durata ore e persa al terzo set nel caldo estivo capitolino dove il campo prende le sembianze del deserto del Sahara e le persone sane di mente, con la colonnina di mercurio che non si schioda dai 38° centigradi, trovano ristoro in habitat che più si addicono alle caratteristiche umane come piscine o spiagge.

Lo storytelling di un match, la sua narrazione, è dunque qualcosa di unico. Un intenso scorcio di vita che non può essere banalmente riassunto con uno sbrigativo e asettico "ho giocato male" se il numero 6 é scritto in una sequenza tale che viene accostato al cognome del nostro avversario. Consideriamo la sconfitta un fallimento, alle volte umano nella maggior parte dei casi tecnico, ma dobbiamo vedere oltre il risultato tanto che Stanislas Wawrinka si è tatuato sull'avambraccio sinistro questa famosa frase di Samuel Beckett:

"Ever tried. Ever failed. 
No matter. 
Try Again. Fail Again. Fail better."

Ogni volta che ci scriviamo a un  torneo o lo vinciamo o abbiamo fallito, ma non importa. La settimana dopo giocheremo di nuovo, falliremo di nuovo ma con l'obiettivo di fallire meglio. Perseverare sempre negli stessi errori e riproporre dinamiche comportamentali che sappiamo a priori essere dannose al nostro tennis non ci porta alcun beneficio, al contrario è sintomo di scarsa ricezione della realtà. Se vogliamo cambiare un tassello del nostro gioco o del nostro essere dobbiamo sapere che subiremo nell'immediato una possibile crisi di risultati e d'identità tennistica, prima di riuscire a concretizzare nel match tali miglioramenti. Qui si esplica il concetto di provare sempre, provare di nuovo.

Quindi provare e fallire sono le due facce della stessa medaglia come amore e separazione, l'una determina l'esistenza dell'altra in un susseguirsi concatenato di causa ed effetto. Qui risiede la bellezza del fallimento come contenitore di emozioni. Quando un amore finisce non porta via con se il pathos vissuto così, al di là del risultato finale, abbiamo l'obbligo di provarci sempre anche solo per vivere il brio indescrivibile generato dall'attesa o dalla speranza.

Accettare di poter fallire come persone ci darà quel quid in più per provarci di nuovo come tennisti. Solo allora capiremo che ogni nostra giocata può trasformarsi in un vincente o in un errore ma soprattutto che, finché lo vorremo, ci sarà sempre un'altra pallina per provarci di nuovo.


lunedì 22 maggio 2017

I Against Myself

I AGAINST MYSELF



di Francesca Amidei

Il cielo è celeste, limpido senza una nuvola. Gli uccellini cantano felici, gli alberi con le loro chiome verdi pastello sono immobili non più molestati dal vento dei giorni scorsi e il polline bianco svolazza libero nell'aria con la stessa grazia dei fiocchi di neve che cadono d'inverno. Il sole scalda ma non brucia, ci regala i primi volti arrossati e gli inconfondibili segni di un'abbronzatura multicolore divenuta negli anni un segno indelebile di noi tennisti. Le condizioni perfette per allenarsi o per giocare un match ma il bello del tennis è che non si può mai dare nulla per scontato neanche in una giornata così...

"Il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso. C'è sempre e solo l'io là fuori, sul campo, da incontrare, da combattere, costringere a venire a patti. Il ragazzo dall'altro lato della rete, lui non è il nemico, è più il partner per la danza. Lui è il pretesto o l'occasione per incontrare l'io. E tu sei la sua occasione. Le infinite radici della bellezza del tennis sono autocompetitive. Si compete con i propri limiti per trascendere l'io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro al gioco, fai breccia nei tuoi limiti, trascendi, migliora, vinci. Ecco la ragione per cui il tennis è l'impresa essenzialmente tragica del migliorare e crescere." 

- David Foster Wallace -

Una sensazione di pace circonda tre piccoli campi in terra rossa incastonati tra i palazzi dove abbiamo la possibilità di conoscere in profondità, a livello intracellulare la persona con cui dovremo condividere tutta la vita - noi stessi. Una terapia a cielo aperto dove si è pazienti e psicologi al tempo stesso, in un'alternarsi di ruoli con il partner di turno che con colpi vincenti o errori gratuiti ci mostra le debolezze e la forza del nostro io.

In uno sport come il tennis nel giro di ventiquattro ore passiamo da uno stato di flow dove dominiamo l'avversario a una sensazione di impotenza in cui siamo noi ad essere dominati alla ricerca di un futile equilibrio che è in antitesi con l'essenza stessa del match - della vita. Fino a quando siamo in grado di farci sorprendere, di emozionarci vale la pena scendere in campo e combattere perché al di là della vittoria o della sconfitta resta intatta la voglia di competere con i propri limiti, di crescere, di migliorare. Tenere accesa la fiamma che abbiamo dentro, il bisogno innato di sognare, di capire fino a dove possiamo spingerci con il rischio alle volte di bruciarsi ma soffocarla significa al contrario non provare più gioia né dolore e così ogni punto diventa uguale all'altro in una routine grigia come la cenere.


Allora tocca a noi scegliere se giocare sempre al limite oscillando tra paradiso e inferno in un turbine perpetuo di emozioni che renderà ogni partita - e ogni giornata - unica e mai banale o ristagnare in purgatorio, nella monotonia del servizio sempre in kick e del dritto solo in top, reprimendo l'innato bisogno di libertà che si concretizza nel giocare un semplice drop shot.

...Il cielo è sempre celeste, gli uccelli continuano a cantare, gli alberi a rimanere immobili ma la sensazione di pace, se abbiamo fatto scendere in campo l'io contro noi stessi, il giorno che diremo basta con il tennis tornerà. O forse no, ci abbiamo rinunciato preferendo nell'immediato una calma apparente frutto di scelte scontate - dove la ragione ha trionfato sul cuore.

martedì 25 aprile 2017

L'allenamento oscuro

L’ALLENAMENTO OSCURO



di Francesca Amidei

Il tennis è uno sport di situazione e come tale gode di un numero di variabili non calcolabili che ogni giocatore deve affrontare nell’arco di una partita. Capacità come adattamento, problem solving, auto percezione vanno allenate con la stessa dedizione e meticolosità del dritto e del rovescio. Sapere cosa succede dentro e intorno a noi ci permetterà di fare la scelta giusta e convertire a nostro vantaggio ogni situazione imprevista e immutabile.

La sera prima di una partita ci ritroviamo a fissare il soffitto della camera e sognare a occhi aperti ogni singolo punto con l'ingenuità e al tempo stesso la presunzione di pensare di poter controllare gli eventi. Ma ciò che rende l'esperienza reale unica è la sua capacità di stupirci sempre nel bene o nel male, sgretolando quel susseguirsi di causa e effetto così lineare da risultare noioso perfino nei sogni. Creiamo nella nostra mente un anteprima di quello che sarà, un trailer del match, per provare a controllare quel senso di ansia misto a inquietudine che ci accompagna in ogni nuova esperienza alla scoperta dell'ignoto.

Vincere o perdere due parole che ci tengono sotto scacco in uno sport in cui il pareggio non esiste. Ma sarebbe banale pensare che questa sia la vera essenza di una battaglia durata ore che ci ha messo di fronte problemi da risolvere, cambiamenti repentini a cui adattarci, crescente stanchezza ed emozioni da decodificare che alterano il nostro equilibrio psico-fisico.

Le corde si rompono quando sono esauste di prendere pallate e non gli interessa se è un punto importante o se non sono passate le ore di gioco stimate per la loro durata, un pò come il navigatore che perde il segnale GPS nel bel mezzo delle oscure strade sterrate nella campagna toscana lasciando a te l'ingrato compito di ritrovare la via di casa. Il vento è libero di soffiare dove vuole alterando il moto della pallina durante uno scambio così come il sole si diverte a creare giochi di luce e ombra che dobbiamo cogliere per riadattarci velocemente al nuovo scenario, consapevoli che anche il nostro equilibrio interno subirà picchi energetici alti e bassi che dobbiamo percepire per sapere quando spingere o tenere, assecondando il momento di vigore atletico e compensando con la mente quando il fisico si farà corrompere dalla fatica.

Amare significa correre dei rischi incalcolabili, giocare una partita di tennis vuol dire avere il coraggio di affrontare quei rischi che con l'allenamento oscuro impariamo a riconoscere. Lasciarsi andare, liberarsi dell’umana ossessione di controllo per affrontare con serenità gli imprevisti che troveremo lungo il nostro cammino tennistico per trarne nuova linfa.

Perché in fondo come disse Albert Einstein:

“Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per cosi dire morto; i suoi occhi sono spenti”



martedì 28 marzo 2017

L'unicità dei multipli

L’ UNICITA’ DEI MULTIPLI




di Francesca Amidei

Il tennis propone una serie di canoni tecnici da rispettare per eseguire correttamente dei gesti motori complessi meglio noti come dritto, rovescio e servizio. L'apprendimento per imitazione è un ottimo strumento per imparare che sviluppiamo fin da bambini, quindi lodiamo il web e le moderne tecnologie che ci permettono di osservare nei minimi dettagli le gesta pure e armoniose dei mostri sacri della racchetta. Ogni tennista però è unico e irripetibile con il proprio patrimonio genetico e culturale che determina la sua idea di tennis volta ad esaltarne le capacità motorie e mentali che lo identificano in primis come persona e poi come atleta.

Possiamo sposare lo stile spagnoleggiante ricco di top spin e passione contrapposto al tennis dell'est tutto d'anticipo con traiettorie ficcanti e sguardi impassibili fino ad arrivare alla tradizione a stelle strisce caratterizzata da forza e grinta con dritti e servizi che raggiungono velocità quasi illegali sui campi veloci. Queste caratteristiche standardizzate ci permettono di etichettare uno sport apparentemente lineare ma che cela al suo interno un cuore mutevole dove si intersecano qualità come fantasia, imprevedibilità, creatività in un mix tra tecnica e personalità che esalta l'unicità dei multipli.


“Tocca al maestro trovare non la via stessa
che porta alla meta,
ma la forma di quella via
rispondente al carattere particolare dell’allievo
e assumersene la responsabilità.”

- Eugen Herrigel -


Il modo in cui stiamo in campo, come impugniamo la racchetta, la fluidità del gesto tecnico, gli angoli che cerchiamo tracciano un identikit ben preciso di noi stessi. Un allenatore o come dice più correttamente Herrigel un maestro, deve saper andare oltre la tecnica al di là delle apparenze per decodificare il tennis dell'allievo che silenziosamente comunica le sue paure, ansie e la visione spesso irreale di sé. Esaltare l'individualità del singolo attraverso un metodo di allenamento condiviso in cui il giocatore percepisce di essere sempre al centro del progetto guidato dal coach verso la scoperta del suo tennis, come un sarto che a ogni prova cuce e adatta l'abito addosso allo sposo.


Per riuscire a fare ciò dobbiamo abbandonare l'idea che esista un metodo universale di insegnamento e spingerci oltre alla scoperta dell'altro. E allora ecco che dobbiamo mettere da parte le nozioni tecnico-tattiche apprese sul campo o lette sui tomi tennistici e rispolverare qualità come sensibilità e intuizione insite in noi stessi per cogliere la bellezza della diversità, perché in fondo non siamo altro che tanti omini colorati su un banale sfondo bianco. 

mercoledì 8 febbraio 2017

Stop > Go

STOP > GO




di Francesca Amidei

La palla da tennis come da regolamento ha una circonferenza di 20.4 cm ma a seconda del nostro stato psico-fisico la possiamo vedere grande come un pallone da basket o piccola come una pallina da ping pong. Nel primo caso colpirla o meglio accarezzarla con la racchetta è un puro godimento ma al contrario, il suo rimpicciolimento ci provoca frustrazione e malessere, riportandoci in uno stato di disagio infantile quando amavamo giocare con la palla magica senza avere le capacità di addomesticarla.

Allenarsi sempre di più alla ricerca della brillantezza perduta, alternando monotone serie di dritti e rovesci a sfiancanti ripetute atletiche senza pensare come una droga che ci altera la realtà illudendoci che sia solo un periodo di scarsa forma fisica. Ma prima o poi il momento della verità arriva o forse no, però quando il braccio e le gambe ricominciano a girare a dovere in allenamento e non vinciamo un match dovremmo essere degli eccellenti comunicatori per convincerci ancora una volta che sia solo un problema di condizione scalzando la mente.

"Il guerriero sa che, di tanto in tanto, il combattimento viene interrotto. Forzare la lotta non serve; è necessario avere pazienza, aspettare che le forze entrino di nuovo in collisione. Nel silenzio del campo di battaglia, il guerriero sente i battiti del proprio cuore. Sa di essere teso, di aver paura. Egli fa un bilancio della propria vita; controlla se la spada è affilata, se il cuore è soddisfatto, se la fede sta infervorando l'anima. Sa che la preparazione è importante quanto l'azione. C'è sempre qualcosa che manca. E il guerriero approfitta dei momenti in cui il tempo si ferma per armarsi meglio."

 - Paulo Coelho -

Fermarsi, pensare, osservare e procedere. Allenarsi a livello agonistico privi di lucidità mentale non porta alcun beneficio. La pura ripetizione di gesti motori da automatizzare funziona solo nella fase primordiale dell' apprendimento tennistico. Quando decidiamo di competere le semplici abilità tecniche se non supportate dalla testa restano fine a se stesse.

Il campo mette a nudo la parte più intima di noi ma se il nostro cuore batte veloce assalito dalla tensione e la mente bloccata dalla paura si fa travolgere da un turbine di pensieri che ci fa uscire dal match, bisogna avere l'intelligenza e la sensibilità di prendersi una pausa. 
Posare la racchetta e come il Guerriero della luce sfruttare il momento in cui il tempo si ferma per fare un bilancio delle nostre vite per capire cosa ci manca o ci turba e armarci meglio per il proseguo della battaglia affinché la mente, depurata dalle scorie negative che l'inquinavano, possa restituire un piano tattico al nostro tennis deprivato di senso.

STOP! Per guardarci dentro… per capire cosa vogliamo... per abbattere le barriere interne…


GO! Per riscendere in campo… per esprimerci attraverso il gioco… per raggiungere un obiettivo...

mercoledì 18 gennaio 2017

Up & Down

UP & DOWN




di Francesca Amidei

Dritto all'incrocio delle righe... punto ... forza! Prima in slice... punto ... forza! Scambio lungo... punto ... c'mon!

Tre a zero sopra al cambio campo. Amo il tennis, la vita è bella, sento il piacevole calore del sole sulla pelle...

Doppio fallo... punto perso ... imprecazione! Rovescio a rete... punto perso ... sono una sega! Volèe larga... punto perso ... racchetta crepata!

Cinque a quattro sotto al cambio campo. Odio il tennis, la vita fa schifo, è da pazzi giocare con questo caldo...

Una partita di tennis è come un' altalena che sale e scende in un dondolio perpetuo, ti porta in alto a toccare il cielo con un dito e ti riporta giù con i piedi per terra in attesa di una nuova spinta per ripartire.
Esprimiamo per un ora il nostro miglior tennis ricco di accelerazioni e colpi (che forse ignoravamo di saper fare) dalle traiettorie variopinte che disegnano il campo in largo e lungo alla ricerca dell'ultimo angolino bianco rimasto sulla tela per sferrare la pennellata decisiva. I game scivolano via veloci senza apparenti difficoltà siamo padroni del campo in totale controllo del match e di noi stessi, vinciamo i primi tre giochi in scioltezza e al cambio campo ci alziamo in piedi sull'altalena per goderci la freschezza della brezza estiva che ci accarezza la faccia.

Dopo i canonici due minuti di break si riprende a giocare e teniamo il servizio ma ci accorgiamo di essere distratti. In breve tempo tra colpi che finiscono larghi di poco e l'impazzimento dovuto all' incapacità di capire cosa sia cambiato rispetto a dieci minuti fa quando eravamo belli e concreti, ci ritroviamo sotto cinque game a quattro al cambio campo con le catene dell' altalena che iniziano a scricchiolare e il bisogno di una nuova spinta, una fiammata per interrompere il momento no.

"Yin (nero) Yang (bianco) è una rappresentazione simbolica del processo universale che ritrae un cambiamento piuttosto che il disegno statico della realtà. Al cuore del pensiero taoista vi è il principio della polarità, l'enfasi con cui si sottolineano gli opposti non deve indurre erroneamente a immaginare una situazione di conflitto, anzi, ogni cosa implica l'esistenza di un opposto, ed è proprio a esso che deve il suo significato, è così che vita e morte, luce e buio, positivo e negativo coesistono come le parti di un unico e identico sistema. La teoria cinese non separa la causa dall'effetto ma l'una si trasforma invariabilmente nell'altro in un ciclo continuo di metamorfosi: la vita è un gioco dove gli eventi confluiscono uno sull'altro in una cascata continua."

Il tennis è nato in Inghilterra nel lontano 1789 ma sposa appieno la filosofia cinese. Ti fa sentire forte e vulnerabile, euforico e depresso, sicuro e insicuro, vittorioso e sconfitto alla continua ricerca di un ingannevole equilibrio. È vero ci sono quei giocatori che per determinate caratteristiche personali riescono a garantire un livello standard di gioco in qualsiasi situazione ma noi no, quindi dobbiamo accettare i momenti bui per riaccendere la luce consapevoli che siamo l'una e l'altra cosa in un susseguirsi di up & down. Solo così possiamo riprendere il controllo del set e librarci nuovamente in aria.