domenica 27 dicembre 2015

La Consapevolezza di Essere...

LA CONSAPEVOLEZZA DI ESSERE...





di Francesca Amidei

Nella società odierna in cui fama e ricchezza sono le due parole chiave intorno alle quali ruota l' esistenza e la felicità umana, è un onore e un piacere poter ammirare sul Centre Court di Wimbledon il talento cristallino di Dustin Brown, anni luce lontano da quelle "macchine umane" che impersonificano il tennista moderno.

Tutti noi amiamo vedere un tennis spumeggiante ricco di discese a rete, drop, stop volley e vere e proprie magie difficili anche solo da immaginare. Eppure al termine di un match esaltante nel tempio del tennis mondiale, che ha visto il tennista tedesco di origine jamaicana sconfiggere in quattro set di "pura follia" Rafael Nadal, ci siamo domandati: perché un giocatore con questo talento non si dedica seriamente e totalmente al tennis? Perché non gioca con più assiduità nel circuito maggiore? E soprattutto, perché non ambisce ad occupare una posizione stabile nei primi 100 giocatori del mondo?

La risposta è molto semplice ma al tempo stesso di difficile comprensione per chi come noi è guidato dal Dio denaro e non riesce socialmente ad accettare l' idea di giocare a livello professionistico per il puro gusto di divertirsi e divertire. Questa strofa tratta dalla canzone "Tanti anni fa" di Brusco riassume e sottolinea i dettami su cui si fonda la nostra società:


"Un giorno diranno tanti anni fa com' era messa male l' umanità. La gente era strana non sorrideva, piangeva e correva di qua e di là. I figli diranno ma è vero papà che avevano il denaro come divinità? La gente era matta perché aveva il terrore di amare e provare felicità..."


Dustin Brown per competere con continuità nel circuito ATP dovrebbe snaturare il suo tennis e omologarsi alla ripetitività dei colpi sulla sfiancante terra rossa dove la parola chiave per vincere è solidità e non fantasia. Adattarsi ai ritmi frenetici dei campi veloci dove le discese a rete sono sempre più un lontano ricordo a causa delle "turbo risposte" che riducono il tempo di uscita dal servizio ad un battito di ciglia. 

Allora limitiamoci ad ammirare in silenzio la sua arte sui verdi campi londinesi e interroghiamoci se c'è una parte di noi stessi che abbiamo deciso di chiudere a chiave in un cassetto impedendogli di scendere in campo, solo per vincere nell' immediato qualche match in più. Ma poi inevitabilmente con il passare del tempo percepiamo, consciamente o inconsciamente, che sarebbe stato meglio avere un paio di classifiche in meno e aver avuto
la consapevolezza di essere! 

domenica 20 dicembre 2015

Road To Success

ROAD TO SUCCESS: DA FLAVIA A PENNETTA





di Francesca Amidei


"Credo che mi mancheranno le altre giocatrici che in certo senso in questi anni sono state la mia famiglia. Ci conosciamo tutte da così tanto tempo. E non importa se con qualcuna parli o sei più amica rispetto a qualcun altra: ogni settimana incroci le stesse facce, le stesse persone. Certo alcune le rivedrò, ma non sarà la stessa cosa. Credo però che mi mancherà anche la competizione: quando entri in campo, soprattutto se è un centrale, provi qualcosa di davvero speciale. E non credo che proverò mai più qualcosa del genere. D' altro canto sono davvero felice di cominciare un' altra parte della mia vita.
La cosa che mi rende più orgogliosa? Essere riuscita ad essere forte, sempre. Ho avuto molti infortuni e ho dovuto ricominciare da zero diverse volte. Io penso che questa sia una cosa molto importante. Riuscire a ripartire ogni volta e ritrovare sempre la giusta forza mentale."

Queste sono le parole con cui Flavia Pennetta, al termine del match perso contro una sontuosa Maria Sharapova alle Wta Finals di Singapore, ha detto addio al tennis che conta. Ma riavvolgiamo il nastro e vediamo quali sono stati i tre momenti più salienti di una carriera durata 15 anni, che hanno portato Flavia da Brindisi a New York:

Uno - Il 17 Agosto del 2009 è stata la prima tennista italiana ad essere riuscita ad entrare nelle top ten della classifica mondiale WTA Tour, inanellando una serie positiva di 15 vittorie consecutive.

Due - È stata la prima italiana in assoluto ad aver raggiunto la posizione n°1 del mondo in doppio nel febbraio 2011, vincendo in tutto 17 tornei WTA tra cui anche gli Australian  Open ed i WTA Tour Championships a Doha.

Tre - Il 12 Settembre 2015 sale sulla vetta del mondo, conquistandosi la prima pagina di tutti i quotidiani italiani ed esteri, vincendo gli Us Open e raggiungendo la posizione numero sei del ranking.

Forse a queste poche righe non servirebbe aggiungere altro se non qualche frase ad effetto del tipo "Grazie Flavia" o "Flavia Superstar". Ma così facendo si ometterebbe la parte più importante di questo fantastico viaggio verso il successo fatto di infortuni, sofferenza, fatica e dolore che hanno forgiato la tennista nostrana fino a farla diventare Donna. Eh si, perché è la stessa Flavia nella sua ultima conferenza stampa a dirci che ciò che la rende veramente orgogliosa dopo tutti questi anni, è la capacità di essere riuscita ad essere forte sempre. 

All' età di 33 anni diventando la tennista più longeva nella storia del tennis mondiale ad aggiudicarsi per la prima volta in carriera uno Slam, sa benissimo che la capacità di saper aspettare quel momento è ciò che lo renderà eterno. L' attesa ci può uccidere o fortificare e Flavia, dal quel Us open del 2012 dove non poté partecipare per un infortunio che la costrinse ad un lungo stop con conseguente operazione allo scafo lunare del polso destro  nella clinica di Barcellona, ha deciso di non mettere la parola "FINE" alla sua storia ma di riscriverla da capo con un finale da favola.

Nelle successive tre stagioni, Flavia sarebbe diventata la Pennetta con la vittoria ad Indian Wells, la storica vittoria agli Us Open, il best ranking e l' addio al tennis.


Ora si che si può scrivere: "GRAZIE CAMPIONESSA"

domenica 29 novembre 2015

Tutta Questione di un Click

TUTTA QUESTIONE DI UN CLICK




di Francesca Amidei

In molti match sentiamo che la linea che ci divide da una possibile vittoria o sconfitta è sottilissima eppure, come in un incubo ricorrente, ne usciamo troppo spesso sconfitti. Allora siamo pervasi dalla frustrazione, convinti di aver buttato via l' ennesima partita e per un attimo quasi ci dimentichiamo che al di là della rete c' era un avversario disposto, quanto noi, a soffrire pur di portare a casa una vittoria.

In quei momenti non abbiamo la lucidità per capire cosa realmente "non abbia funzionato" o forse dentro di noi conosciamo la verità ma non siamo ancora pronti per affrontarla e spostiamo il focus su aspetti secondari per non assumerci fino in fondo le nostre responsabilità. Infatti i principali artefici dei nostri insuccessi sono a turno il dritto, il rovescio, il servizio, il fisico, le palline, il campo o l' avversario scorretto eppure siamo noi che impugniamo la racchetta e che, nonostante gli incredibili progressi tecnologici del nostro sport, abbiamo ancora il libero arbitrio di scegliere come giocare ogni singolo 15. 

Molto spesso ci convinciamo che per un calcolo delle probabilità o semplicemente per pura fortuna prima o poi ci dirà bene e finalmente riusciremo a concretizzare quelle miriadi di palle game che ci creiamo nell' arco di una partita.

"Chi disse preferisco avere fortuna che talento percepì l' essenza della vita, la gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita, terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro, con un pò di fortuna va oltre e allora si vince oppure no e allora si perde."

Questa celebre frase tratta dal film "Match Point" di Woody Allen estremizza il ruolo cruciale che la fortuna può avere nella vita di ognuno di noi fuori e dentro il campo da tennis ma omette un piccolo grande particolare, siamo noi a crearci la nostra fortuna. Ebbene si, capita spesso che per molto tempo inseguiamo un obiettivo di classifica senza riuscire ad ottenerlo e poi all' improvviso, come nei nostri sogni più rosei, riusciamo finalmente a vincere un susseguirsi di partite dove ogni tassello va al suo posto e tutto sembra funzionare alla perfezione.

Solo allora saremo invasi da una sensazione di pace e di leggerezza e potremmo sussurrare a noi stessi che stavolta ce l' abbiamo fatta perché in fondo, in questi anni di sconfitte e delusioni, abbiamo sempre continuato a crederci. In quel momento pensiamo che non era poi così difficile ottenere quello che volevamo anzi, ci sembra quasi naturale.

E solo allora ci rendiamo conto che se siamo in armonia con noi stessi e con ciò che ci circonda quella palla che colpisce il nastro non tornerà mai indietro ma andrà sempre oltre perché, in fin dei conti, è tutta QUESTIONE DI UN CLICK.

domenica 9 agosto 2015

Concretezza o Estetica

CONCRETEZZA O ESTETICA: QUESTO E’ IL PROBLEMA




di Francesca Amidei

Nel momento esatto in cui la pallina accarezza le corde, un tennista sa se di lì a pochi secondi, sarà in paradiso o all' inferno.

Ci sono alcuni giocatori che sono alla continua ricerca del colpo ad effetto, quello che lascia l' avversario e gli spettatori senza fiato e poi ci sono quelli che sono disposti a tutto pur di conquistare un 15.

I primi si emozionano ed esaltano per le sensazioni che provano nel momento esatto in cui impattano la palla, quando ancor prima che tocchi terra sanno già che si poserà proprio lì nel punto che hanno focalizzato o forse solo immaginato, quando sentono la terra sotto i piedi, quando tutto intorno a loro si ferma e non esiste altro al di fuori di quella pallina gialla che tante volte hanno guardato ma che mai, prima d' ora, gli era sembrata così grande e lucente come se risplendesse di luce propria. Ed è solo in quell' istante, quando si sentono in totale armonia con il campo ed in pace con loro stessi, che inconsciamente capiscono di essere degli esteti del nostro sport perché in fondo non giocano per conquistare un banale punto ma per cercare di rivivere, una volta di più, quel brivido che solo il colpo perfetto gli sa regalare. 


I secondi, invece, si nutrono ed alimentano nella lotta corpo a corpo o più semplicemente punto a punto, quando il respiro diventa affannoso, quando sentono il sudore scendergli sulla fronte e la tensione si trasforma in adrenalina. E proprio quando uno pensa che siano ormai sul punto di crollare riescono a trovare dentro di loro la forza di resistere ancora, di tirare un' altra pallina al di là della rete con l' umiltà e al tempo stesso la consapevolezza di chi sa che la fatica appiana le differenze.


In uno sport estremamente tecnico in cui però un solo punto può decretare una vittoria o una sconfitta siamo condannati ad unire l' estetica alla concretezza e viceversa, perché arriverà quel momento nella nostra vita tennistica in cui per vincere saremo costretti a tirare quel vincente che tante volte abbiamo solo appoggiato o a ributtare quel dritto in campo che troppo spesso abbiamo tirato a tutto braccio per liberarci dello scambio e sottrarci alle nostre responsabilità.


Siamo quindi disposti ad accettare le nostre debolezze, a riconoscere i nostri limiti e a dominare i nostri impulsi per diventare veramente efficaci nel campo da tennis?

Alcuni decideranno di mettersi in discussione ed uscire dalla propria zona di comfort per spingersi verso orizzonti inesplorati con la curiosità, e al tempo stesso la paura, di chi sa di non sapere. Altri invece continueranno a recitare sempre lo stesso copione dal finale scontato e a loro sfavorevole, entrando in un circolo vizioso con la malsana speranza che prima o poi gli dovrà girare bene, alla continua ricerca di un exploit che, inevitabilmente, tarderà ad arrivare.

E prima o poi ognuno di noi dovrà scegliere se rimanere un tennista o se diventare un giocatore... Questo è il vero dilemma!




Posted by: Francesca Amidei | Posted date: Luglio, 29 2015 | SPAZIO TENNIS

http://www.spaziotennis.com/2015/07/estetica-o-concretezza/

http://www.tennisworlditalia.com/tec/917/concretezza-o-estetica-questo-e-il-problema/

sabato 11 luglio 2015

Il Coraggio d' aver Paura

IL CORAGGIO D’ AVER PAURA
di Francesca Amidei

Ci sono giocatori freddi e giocatori emotivi, ci sono tennisti killer e tennisti che non sfruttano miriadi di palle game o palle set, ci sono quelli che nei punti importanti riescono a giocare sempre il loro miglior tennis e quelli a cui, in quei momenti, il dritto ed il rovescio non scorre mai. Eppure c’ è un comun denominatore che accomuna tutti e dal quale nessun tennista del pianeta, dal principiante al professionista, può scappare. Ebbene, si tratta della paura di vincere e della sua gemella, meglio nota, come paura di perdere.

Chiunque abbia impugnato una racchetta e giocato almeno una volta nella vita una partita o anche solo pochi punti con un amico, avrà provato sulla propria pelle quel brivido che ti pervade prima di giocare un punto importante che può decidere le sorti del match. Non importa cosa ci sia in palio, se è una partita di torneo o la partitella in amicizia della domenica, perché ciò che rende veramente unico il nostro sport è che tutti possano vivere, a qualsiasi livello e in qualsiasi contesto, quelle stesse paure. Però c’è una domanda che ci tormenta, che risuona imperterrita nelle nostre menti prima, durante e dopo una partita alla quale forse non c’è risposta o forse, semplicemente, ce ne sono molte.
E’ possibile con l’ esperienza esorcizzare questa paura o bisogna conviverci ed affrontarla in ogni singola partita? Le paure ci accompagnano nel corso di tutta la nostra vita, dalla classica paura del buio da bambini alla più complessa paura del “cosa ne sarà di noi” da ragazzi fino all’ inesorabile paura della morte in tarda età. Non possiamo pensare di provare le stesse emozioni o sentirci nello stesso stato d’ animo per l’intera durata di un torneo o più semplicemente di un match, ci saranno momenti in cui saremo in fiducia e qualsiasi colpo giocheremo risulterà vincente, ci saranno punti in cui il nostro braccio non girerà a dovere, cambi campo in cui penseremo che non potremmo mai perdere e altri in cui tutto ci apparirà nero e ci daremo per vinti. C’è chi si esalta e chi scompare nella lotta, c’è chi si carica o si emoziona con il pubblico e c’è chi reagisce e chi si fa travolgere dalle difficoltà. Spesso per vedere il reale valore di un giocatore si osserva come si tira fuori dalle situazioni delicate, come reagisce al cosiddetto “momento no” e se riesce a rimanere lucido nei momenti catartici del match perché è lì, in quegli attimi, in quelle scelte che emergono le caratteristiche umane e mentali di ognuno di noi che vanno ben oltre il dritto ed il rovescio.
Dunque la paura sarà la nostra compagna di viaggio lungo quella strada tortuosa che tutti noi percorreremo per realizzarci come tennisti, e solo quando impareremo a riconoscerla, ad accettarla, a farla nostra avremo finalmente il coraggio di avere paura. E solo allora piazzando un ace sulla palla break, sfoderando un dritto vincente sulla palla set o chiudendo una volée a campo aperto sul match point ci sentiremo Giocatori.
Non possiamo non avere paura ma, nel campo da tennis così come nella vita, possiamo imparare ad avere coraggio


Posted by: Francesca Amidei | Posted date: Aprile 26, 2015 | SPAZIO TENNIS

http://www.spaziotennis.com/2015/04/coraggio-paura-psicologia-mental-coach/

venerdì 3 luglio 2015

Le Paure del Giovane Roger

LE PAURE DEL GIOVANE ROGER




di Francesca Amidei


Scrivere un articolo su Roger Federer è un’ impresa titanica, un po’ come sfidare Bolt nei 100 metri! Nella mente scorrono domande del tipo: cosa si può scrivere di originale sul Re del tennis? Cosa non è stato detto? Quale aspetto umano o tennistico in questi anni è stato trascurato dalle migliaia di scrittori e appassionati?

Ebbene si, è possibile trovare una risposta a queste domande e scrivere ancora una volta, senza risultare banali o ripetitivi, su colui che ha fatto la storia del nostro sport. Questo articolo non è stato pensato con lo scopo di elogiare il tennista svizzero, di tessere le sue lodi o esaltare le sue vittorie e i suoi record ma bensì per far emergere le difficoltà del Roger ragazzo pieno di insicurezze, dubbi e paure, ignaro del futuro roseo che l’ avrebbe atteso nel panorama del tennis mondiale. Spesso si pensa che il talento sia una qualità innata, un dono che madre natura fa a pochi predestinati eppure, correndo il rischio di risultare impopolari, partiamo dal presupposto che Roger Federer non si nasce ma si diventa.

“Era un bambino viziato e testardo con poca passione per la scuola e troppa per lo sport ed i videogames. Ma soprattutto pur avendo talento, Roger non ha mostrato fin da subito quel talento che cattura l’ attenzione, è invece cresciuto pian pianino, sviluppando le sue armi di creatività e copertura totale del campo, passando per la grande passione per l’ idolo giovanile tutto d’ attacco, Boris Becker, ai prototipi meno spettacolari ma più redditizi del tennis moderno, da fondocampo. Accettando, strada facendo, medicine come regolarità, concentrazione, tenuta. E, soprattutto, errore e sconfitta. Perché il primo grande ostacolo del giovane Federer non è stato il net o l’ avversario o il fisico o la tecnica, bensì se stesso, con l’ accettazione del non eseguire alla perfezione i colpi che aveva in mente e che sapeva fare. Quando ha trovato la risposta a quei tormentosi “perché”, ha chiuso il rubinetto di imprecazioni, smoccolamenti e strazi di racchette, ha “messo tutte le cose assieme” e, imparando a perdere, ha cominciato a vincere davvero” (Roger Federer, La Gazzetta dello Sport)

Questo scorcio tratto dalla Gazzetta dello Sport, serve a sottolineare che nel tennis così come nella vita, il solo talento non basta per ottenere risultati di eccellenza, ma è necessario confrontarsi ed affrontare le proprie debolezze e sconfiggere i propri “demoni”. Per il Roger adolescente la sfida più dura è stata quella di accettare la sconfitta, di imparare a perdere, di mettere da parte la sua indole perfezionista e la sua ossessione per l’ estetica a favore della concretezza. Ha imparato con il tempo ad allenarsi realizzando che il talento da solo non basta, ha sofferto la lontananza da casa quando si è trasferito prima al centro tecnico federale di Ecublens e poi a Biel dove si fece notare più per le sue intemperanze comportamentali che per i risultati.

Allora quand’ è che Rogerino è diventato campione? Quando nel 1999, da numero 302 dei professionisti, si è dedicato a tempo pieno al circuito dei grandi scegliendo un coach al di fuori del centro tecnico federale svizzero. Un vero e proprio taglio del cordone ombelicale, che portò il ragazzo dai capelli biondo platino scoloriti, a diventare prima un uomo e poi un giocatore. 

Il 2 Luglio 2001 ha battuto agli ottavi di Wimbledon Pete Sampras, campione di 7 Championships in 8 anni, con il tennis puro ma soprattutto con l’ umiltà della risposta e il dominio delle emozioni. Nel Tempio (Centre Court) e con gli occhi di tutto il mondo addosso, dopo aver perso il quarto set al tie-break, riuscì a sprintare ancora per il 7–5 decisivo……

QUAL GIORNO ROGER DIVENTO’ FEDERER

Posted by: Francesca Amidei | Posted date: Marzo 26, 2015 | SPAZIO TENNIS 

http://www.spaziotennis.com/2015/03/le-paure-del-giovane-roger/

Il Maestro di Tennis Come Comunicatore dello Sport

IL MAESTRO DI TENNIS COME COMUNICATORE






di Francesca Amidei

La comunicazione e lo sport, la comunicazione ed il tennis, saper comunicare per poter insegnare. Questi i temi che stanno al centro della mia tesi. Giunta al termine del mio percorso universitario ho deciso di trattare i temi sopra elencati per unire la mia
esperienza di studentessa in comunicazione alla mia esperienza di maestra di tennis, due aspetti della mia vita che hanno convissuto e si sono evoluti di pari passo nell’ arco di questi cinque anni. E’ passato poco più di un anno da quella calda mattinata di Luglio quando con il cuore in gola sono salita sul palco del centro Congressi della Sapienza, gremita di persone, per presentare la mia tesi con il timore che un tema così originale potesse non essere apprezzato dalla commissione. 

Con mio immenso stupore si interessarono al mio lavoro in particolare alla parte dedicata alla ricerca, che rappresenta il cuore della tesi stessa e che ho pensato di riassumere in questo articolo con lo scopo di farla leggere a chi il tennis lo gioca, a chi lo insegna e a chi lo ama. All’ inizio della mia ricerca sulla figura del maestro di tennis ho stabilito un obiettivo da raggiungere ed un ipotesi di partenza. L’ obiettivo che mi sono prefissa è di dimostrare come la scelta dei maestri di tennis di puntare sulle competenze comunicative oltre che sulle competenze professionali per rapportarsi con i propri allievi, sia condivisa a livello generale indipendentemente dall’età, dall’esperienza lavorativa personale e dal settore in cui
operano (agonistica – mini-tennis – scuola tennis). L’ipotesi di partenza invece è incentrata sul fatto che i maestri di tennis devono possedere sia le competenze professionali (conoscenze tecnico-tattiche di base) sia le competenze comunicative (capacità di relazionarsi con allievi di età ed esigenze differenti) per svolgere al meglio la loro professione. Una volta stabiliti obiettivo e ipotesi ho selezionato il campione della mia ricerca intervistando 10 maestri di tennis che lavorano in diversi circoli di Roma. Ho appositamente deciso di dividere gli intervistati per sesso, donne e uomini, e per fasce di età, meno di 25 anni – dai 26 ai 40 anni – più di 40 anni. Questo perché ritengo che il sesso e l’ età degli intervistati abbiano una grossa influenza sul ruolo che svolgono all’ interno del circolo, sulle loro competenze e sul modo di relazionarsi con gli allievi. Nello specifico ho intervistato tre donne e sette uomini di cui due di loro hanno meno di 25 anni, tre sono compresi tra i 26 ed i 40 anni e i restanti cinque hanno più di 40 anni. Ho suddiviso le 16 domande dell’ intervista in tre aree riprendendo lo schema del ruolo agito di Federico Butera. La prima area riguarda il ruolo formale che l’ individuo ricopre all’ interno del circolo in cui lavora, il settore specifico in cui insegna e la fascia di età in cui sono compresi i suoi allievi. Le otto domande della seconda area vertono sulle competenze professionali e comunicative dei maestri di tennis. Nello specifico ho posto loro domande riguardanti la loro carriera da giocatori e da allenatori, le competenze necessarie per svolgere questa professione e i corsi di formazione che hanno seguito per diventare maestri di tennis. Infine le restanti cinque domande riguardano il percorso personale dell’ individuo, in particolare mi sono soffermata nel domandare loro il motivo che li ha spinti a scegliere questa professione, i valori che sostengono e che insegnano ai loro ragazzi dentro e fuori il campo da tennis ed infine, ma non meno importante, quali sono i punti di attenzione nella relazione con gli allievi. La ricerca che ho realizzato ha confermato la mia ipotesi iniziale secondo la quale i maestri di tennis devono possedere oltre alle competenze professionali (conoscenze tecnico-tattiche di base) anche le competenze comunicative (capacità di relazionarsi con allievi di età ed esigenze differenti) per svolgere al meglio la loro professione. Infatti in tutte e tre le fasce di età sia a livello maschile che femminile, viene sottolineata l’ importanza di possedere delle competenze comunicative, sociali e psicologiche per interagire, relazionarsi e comprendere le diverse esigenze dei ragazzi di età e personalità differenti.

La comunicazione si pone quindi come elemento cardine in tutti e tre i settori di insegnamento, (mini-tennis – scuola tennis – agonistica) perché la
capacità di creare un rapporto unico con l’allievo viene prima di qualsiasi competenza tecnica e tattica. Un altro aspetto che fortifica questa mia tesi è dato dal fatto che tutti i maestri e maestre di tennis da me intervistati, anche se hanno avuto un ottima carriera agonistica con il raggiungimento di una classifica internazionale a livello WTA (Women’s Tennis Association) e ATP (Association of Tennis Professionals), affermano che nello svolgere questa professione chi ha ottenuto risultati di rilievo da giocatore sia avvantaggiato per l’allenamento degli agonisti, perché ha vissuto in prima persona certe esperienze e sensazioni, mentre per allenare a livello di scuola tennis non è affatto importante perché sono richieste altre capacità comunicative e di insegnamento. Terminerò questo breve excursus sulla mia tesi sottolineando come nella società odierna, e quindi anche nell’ ambito sportivo, si sente sempre più parlare dell’ importanza della comunicazione. Di fatto, il saper essere un abile comunicatore, si traduce a livello relazionale in un enorme vantaggio per colui che possiede questa capacità di persuasione e spesso questo vantaggio diviene anche una forma di potere.

Il successo di un soggetto nella sua professione, ma anche nelle altre relazioni, è legato alle abilità che esso possiede di essere convincente e rassicurante. La comunicazione del coach è un’arte e si divide in due grandi insiemi: verbale e non verbale. La comunicazione verbale per essere efficace deve fornire delle conoscenze chiare e precise. Inoltre dal modo di comunicare l’atleta può comprendere lo stato d’ animo del suo allenatore, la sua disponibilità o meno di comunicare. Per rendere efficace la sua comunicazione, in modo tale da favorire l’ apprendimento, il coach usa una sorte di paralinguaggio, che non è altro che l’insieme delle componenti vocali del linguaggio, considerate separatamente dal significato delle parole come il tono che è sinonimo di sicurezza, la risonanza che rappresenta la sonorità di una voce, l’articolazione che coincide con l’ intelligibilità delle parole pronunciate e il timbro che esprime la qualità del suono emesso. In ogni caso la scelta di come parlare è in stretta correlazione con le caratteristiche della situazione. Oltre alla comunicazione verbale il coach ha a disposizione la comunicazione non verbale che rappresenta un patrimonio che molte volte l’uomo ha sottovalutato. Fortunatamente ci si sta accorgendo che essa possiede delle potenzialità che spesso vanno ben oltre il potere della parola. Così l’allenatore può essere persuasivo nel momento in cui crea un sincronismo tra ciò che dice con le parole e ciò che comunica con i gesti, in pratica ciò che dice con la parola non deve essere smentito da quello che comunica con la gestualità. Quando questo avviene si crea nel giocatore una forma di dubbio perché non comprende se deve credere alle parole o ai gesti. Alla comunicazione non verbale appartengono varie possibilità espressive come i gesti, la postura e le espressioni del viso. Nel complesso un coach comunica in modo efficace qualora armonizza contenuti intenzionali e contenuti non intenzionali, tiene sotto controllo i propri segnali non verbali per rendere efficace lo scambio di informazioni e il clima con l atleta. In conclusione voglio lasciarvi con una citazione di Eugen Herrigel tratta dal libro “Lo zen e il tiro con l’ arco” che mi ha colpito molto: “ Tocca al maestro trovare non la via stessa che porta alla meta, ma la forma di quella via rispondente al carattere particolare dell’ allievo e assumersene la responsabilità”.


Posted by: Francesca Amidei | Posted date: Ottobre 10, 2014 | SPAZIO TENNIS 

http://www.spaziotennis.com/2014/10/il-maestro-di-tennis-come-comunicatore/