giovedì 26 aprile 2018

L'Umiltà dei Numeri Primi


L’UMILTA’ DEI NUMERI PRIMI 





di Francesca Amidei

All'inizio di ogni match c'è un favorito e uno sfidante. Il ranking, dato dalla sommatoria delle vittorie ottenute in un ampio lasso di tempo, ci racconta il valore di un giocatore. Questo complesso sistema di calcolo (degno di menti ardite in stile Bing Bang Theory) esclude una fondamentale variabile; il tennis, così come la vita, è uno sport di situazione.

Trovare soluzioni a una realtà in perenne mutamento che fatica ad assestarsi sotto la pioggia di dritti, rovesci e servizi che i due contendenti scagliano a velocità proibitive per l'occhio umano. Con l'ipotesi non assurda che, per diversi minuti quantificabili in tempo tennistico in dodici game, che tradotto significa aver perso il primo set 7/5, i tuoi colpi non trovano la via del campo togliendo credibilità all'appellativo di "uomo da battere" frutto di vittorie passate.


"Ho faticato davvero moltissimo oggi per ottenere la diciasettesima vittoria dell'anno. Sono stato spesso in difficoltà, ma quando si ha fiducia ed esperienza, non c'è motivo di farsi prendere dal panico. Il mio avversario ha giocato meglio e in diverse occasioni non mi sono entrati i colpi. Insomma è stata una partita molto equilibrata, entrambi avremmo potuto vincere. Se devo dire la verità, avrei meritato di perdere io."

(Roger Federer - Indian Wells 2018)


La partita odierna non tiene conto del numero di trofei che uno ha alzato al cielo nel fotoromanzo della propria vita, conta solo il qui e ora. Le molteplici bandiere rosse crociate che sventolano sugli spalti non sono sufficienti quando il ragazzo che hai di fronte, poco più che ventenne, sta lì per scrivere le righe più significative della sua storia come quelle che ti rivelano il colpevole in un libro giallo.

Eppure una soluzione alla bassa percentuale di prime e al numero in doppia cifra degli unforced, esiste. Si chiama UMILTÀ ovvero, la virtù per la quale l'uomo riconosce i propri limiti rifuggendo da ogni forma d'orgoglio. In termini tennistici  scalzare "il bel gioco" e mettere in circolo la voglia di vincere, quella vera. Che ci toglie il respiro, che ci fa gocciolare fino alla disidratazione, che ci fa gridare con quel brivido che percuote le nostre membra, ignari, se sia adrenalina o sudore freddo investito dal vento.

In una parola "FAME". Non quella che ti priva di energie e offusca il cervello nota come fame umana ma la sua parente più raffinata, la fame di vincere. Una prorompente forza interna che ci fa dimenticare dove siamo arrivati, una sorta di ritorno al passato sul campetto in periferia per sentire nelle vene quella leggerezza, quella passione, quella grinta che appartengono alla fanciullezza. Con il sole a picco sulla testa, senza conoscere la nostra destinazione, ma con l'unico desiderio custodito nel cuore pulsante di essere stati gli ultimi a mandare la pallina al di là di quella rete oscura.

Allora solo se recuperiamo un break nel secondo set a un passo dalla sconfitta. Solo se ci aggiudichiamo il parziale 6/4 prendendo a schiaffi la paura con fiducia ed esperienza, siamo degni di godere di quel rispetto incondizionato che la nostra classifica ci attribuisce.

Rispetto ottenuto grazie all'umiltà dei numeri primi.