mercoledì 25 marzo 2020

Suspended


SUSPENDED





di Francesca Amidei

Stop di due mesi... È ufficiale, il tennis si ferma...

Sette giorni prima, il nostro paese ha predisposto la chiusura di tutti i Centri Sportivi. Ma sono consentiti gli sport all'aperto. Gongoliamo all'idea di avere quei fantastici 23.77 metri (la distanza di sicurezza richiesta è di un banale metro!). Ci sentiamo intoccabili, ma è solo un'illusione.

Da lì a poche ore, ci ritroviamo rinchiusi dentro casa. D'istinto apriamo i social, veniamo sommersi da un susseguirsi di hashtag #andràtuttobene. Sul live score di Indian Wells appare la scritta, MATCHES POSTPONED. Era un lunedì sera, di quelli che non scorderemo mai...

La penisola italica è irradiata da un beffardo sole primaverile. Il cielo limpido sembra volerci infondere il buon umore svanito. Proprio ora, sul più bello, dobbiamo metterci in pausa. Ci siamo allenati per quattro mesi sfidando la pioggia, il freddo, il vento per affrontare una nuova stagione tennistica. Siamo pronti alla battaglia sul campo ma, non immaginavamo, di dover sfidare un avversario invisibile.

I giorni hanno perso consistenza, deprivati della loro consueta diversità. Ci rifugiamo in giardini e balconi, per avere qualche ora d'aria. Immersi in una "falsa" preparazione atletica primaverile, che, giova di più alla mente che al fisico.

Nel nostro settore lo smart working non è redditizio. Ma ci sentiamo in dovere di realizzare qualche video per tenere attive le pagine social del circolo. È il nostro grido di battaglia. Quella clip di cinquanta secondi di esercizi, che può sembrare gasante e auto celebrativa, contiene un messaggio implicito al suo interno. È la nostra voglia di lottare e ribaltare questa partita che ci vede, si in svantaggio, ma non ancora sconfitti.

È tutto un incubo. Dobbiamo passare altre notti insonni come dopo ogni match, in cui c'è da smaltire la delusione della sconfitta o l'adrenalina della vittoria. Ma ci sveglieremo di soprassalto, in una calda mattinata estiva, con indosso pantaloncini e t-shirt che delineano i segni della nostra inconfondibile abbronzatura.

Non ci scorderemo mai quel lunedì sera, quando la partita che ognuno di noi stava giocando nella quotidianità della vita, venne sospesa. Così come ricorderemo per sempre, l'emozione del primo punto. Quel dritto vincente, che sgretolerà le restrizioni, che ci restituirà la libertà e il diritto di stare con chi amiamo.


"Sabato, sabato
È sempre sabato
Anche di lunedì sera
È sempre sabato sera
Quando non si lavora
È sempre sabato
Vorrei che ritornasse presto un altro lunedì..."


- Jovanotti -


mercoledì 19 febbraio 2020

Vivere il Tennis


VIVERE IL TENNIS




di Francesca Amidei

Il motivo per cui giochiamo a tennis, è che non vogliamo dividere con gli altri i meriti di una vittoria. Siamo delle "prime donne", che sfilano su un terroso tappeto rosso in cerca di gloria. La scelta di uno sport individuale è pure una questione di carattere. La follia e l'estrema timidezza non vengono accolte di buon grado in uno spogliatoio, che ricerca un suo equilibrio interno.

Il tennis ci permette di esprimere chi siamo, e questo può essere anche un rischio. Perché per raggiungere quella cosiddetta gloria, bisogna limare gli aspetti non proficui del nostro carattere. In parole semplici se siamo nei guai, sportivamente parlando, nessuno al di fuori di noi ci potrà tirare fuori.

Questa è la sfida più difficile da vincere, se abbiamo scelto di scendere in campo da soli. Il vantaggio della solitudine è che ogni decisione spetta a noi, e se il piano A non funziona, dobbiamo elaborare idee nuove per cambiare. Questo significa avere fantasia e flessibilità.

Passare da una tipologia a un'altra di gioco richiede, in primis, un accettazione mentale del nuovo stato. Se per vincere dobbiamo stare in campo tre ore è necessario avere una predisposizione alla fatica, la forza per non soccombere con il prolungarsi degli scambi.

E dal momento che dopo i quaranta una persona o si ama o si odia, di sicuro non si cambia. È da pischelli che bisogna prendersi la responsabilità di decidere se lottare o mollare. Un imprinting caratteriale che ci accompagnerà nel vivere il tennis.

Sport violento e infinitamente romantico che mette a nudo, pregi e difetti, di ognuno di noi. Si discosta dall'immagine di perfezione che ci regala un parco assolato pieno di margherite e coriandoli, tipico di un febbraio anomalo. Siamo portati, nello srotolarsi degli anni, a una progressiva metamorfosi umana e tecnica dettata dal tempo.

Si può anche sviluppare un tipo di gioco, e portarlo avanti per tutta la nostra vita tennistica. Rifiutarsi di apportare qualsiasi miglioria, novità, evoluzione tattica e, probabilmente, vincere o perdere in fotocopia gli stessi match. Strutturare il nostro tennis vuol dire sopprimere al minimo la possibilità di scelta e, dare un calcio netto, alla produzione di nuove soluzioni.

Questo significa sopravvivere al tennis, ma non viverlo nella completezza delle sue sfumature. Provare delle singole esperienze esaltanti sfuggendo, allo stesso tempo, alla pienezza della sua quotidianità. Come sentirsi felici durante un viaggio, per poi appiattirsi, una volta tornati a casa. E crogiolarsi nell'illusione di aver espresso noi stessi, senza aver mai osato giocare, quello strettino che ci stava tanto a cuore.


"...E con le idee puoi cambiare il mondo... Ma il mondo non cambia spesso. Allora la tua rivoluzione sarà cambiare te stesso..."

- Mannarino -

sabato 25 gennaio 2020

Passione, Where Are You?


PASSIONE, WHERE ARE YOU?




di Francesca Amidei

A nord di Roma, nella segreteria di un circoletto underground, si parla del tempo che fu. Generazioni a confronto che ricordano infanzie passate. Tempi in cui la tecnologia nasceva, ma non aveva ancora tolto spazio alla creatività. Le naturali bravate venivano condivise live con gli amici di turno, non contaminate dalla spasmodica ricerca del like.

Sicuro godevamo di più libertà, scuola a parte, rispetto alla odierna tendenza dei pomeriggi programmati. Sceglievamo un solo sport, nel nostro caso il tennis, e facevamo carte false per prolungare la permanenza sul campo ben oltre il termine dell'allenamento. Capace che dovevamo aspettare anche un paio d'ore e palleggiare nei campetti con i bimbi del mini tennis. Ma eravamo disposti a tutto pur di ottenere un campo per finire il match, iniziato quando batteva ancora il sole.

Sulla terra rossa l'ossessione per lo studio non ci sfiorava. A quello pensavamo una volta sull'autobus. Eh si, usavamo questi strani cassoni su ruote. C'era consentito di camminare e andavamo persino a scuola con il borsone. Tempi in cui, i parcheggi dei circoli, non erano intasati da mostruosi suv.

Il tennis era la nostra passione. Sapevamo che non saremmo diventati dei tennisti, ma avevamo il permesso di sognarlo. A modo nostro ci abbiamo provato. Ognuno con i propri mezzi, qualche match indimenticabile da narrare e quelle trasferte al nord più forgianti di duecento giorni di scuola. Siamo all'inizio di un nuovo decennio in cui, se chiedi a un tredicenne cosa desidera fare da grande, risponde, con lo sguardo vuoto fisso sulle sue stringhe, il dirigente in banca.

La società del denaro da noi generata, ha privato i ragazzi del diritto di sognare. La passione viene sommersa dal turbine di attività che devono quotidianamente affrontare. Marchio di un benessere economico che prosciuga le emozioni. Menti in erba ingannate dal possedere beni materiali, che li derubano dal vivere vere esperienze. Apparecchi tecnologici bollati con una mela, comandati a voce, che prolungano la solitudine offrendo falsa compagnia.

Sarebbe bello ritrovare la semplicità almeno nello sport, nel tennis. Si ammazzava il tempo insieme, eravamo tutti lì nell' attesa di scendere in campo per giocare il nostro match di torneo. Guardavamo le partite degli altri, tifando gli amici e applaudendo i bei colpi dei loro avversari. Avevamo la competizione nel sangue, alimentata da panini al prosciutto e dai mitici succhini. Di racchetta ne bastava una, se rompevi te la prestavano (oggi il regolamento lo vieta).

La passione era il collante che teneva insieme giornate come queste. Lei promuoveva esperienze e ci dava la spinta per superare una sconfitta. Nel 2020 sembra impossibile vedere quel luccichio negli occhi di un ragazzo che mai, si sognerebbe di tornare a casa e trasformare la propria camera nel Philippe Chatrier, con i cuscini del divano al posto della rete.

PASSIONE, what happened to you?