mercoledì 14 dicembre 2016

La paura fa Quaranta

LA PAURA FA QUARANTA




di Francesca Amidei

Nella cabala del lotto la paura corrisponde al numero novanta, nel nostro mondo con racchetta e pallina possiamo associarla al numero quaranta.

Lo stimolo della paura ci porta a fare cose che sembrerebbero impensabili in condizioni normali. Questa accezione può essere interpretata in modo positivo o negativo, possiamo trovare in noi stessi delle risorse che non pensavamo di possedere o al contrario ritrovarci paralizzati, incapaci di reagire.

Nel gergo tennistico si chiama "braccino" e si concretizza il più delle volte tirando piano fuori, con la sensazione che sia la pallina a colpire noi come uno scoglio che viene urtato dall'onda. La mente è in panne e il braccio abbandonato a se stesso si dimentica il finale, la forza, la rotazione con gli occhi chiusi e la speranza che la racchetta si ribelli al nostro immobilismo animandosi di spirito decisionale per dare un senso a quel colpo vuoto. Dobbiamo decidere se spingere o tenere perché quando arriviamo a 40 il nostro grillo parlante - tutti i tennisti ne hanno uno - ci ricorda che il prossimo punto potrebbe farci vincere il game e indirizzare il set a nostro favore o riaprirlo. Ma in quei momenti i pensieri misti a idee rimbalzano veloci nella nostra mente, confusi e impauriti siamo vicini alla vittoria e alla sconfitta nello stesso istante.

Sembra come se qualcuno nello scrivere il nostro disegno tennistico invece di tracciare una linea retta da un punto A a un punto B si sia divertito a scarabocchiare il foglio bianco. Allora da 40-0 ci ritroviamo pari e inizia l'altalena dei vantaggi, inizia la competizione vera quella con il nostro io. In quei momenti l'avversario dall'altro lato della rete smette di essere il nostro nemico e diventa il nostro partner, lo amiamo e odiamo perché ci fa sentire forti e vulnerabili allo stesso tempo mettendo a nudo sul campo le nostre più intime paure.

Ma d'altro canto uno dei più forti di sempre nel nostro sport, vincitore di undici titoli del Grande Slam afferma che:

"Se non hai paura di perdere, non meriti di vincere"


- Bjorn Borg -

lunedì 21 novembre 2016

Beauty

BEAUTY




di Francesca Amidei

La bellezza è conoscenza, armonia, trasporto e se compresa porta al godimento dell' anima e del corpo. La percepiamo attraverso il nostro sistema sensoriale ma nonostante ciò esistono dei canoni di bellezza universalmente riconosciuti.

Se ora chiudiamo gli occhi e immaginiamo il dritto dei nostri sogni, una smorfia involontaria simile ad un sorriso apparirà sul nostro volto.
Così come se impugniamo la racchetta e ripetiamo una serie di dritti e rovesci nel vuoto fendendo l' aria, sentiremo che una piacevole vibrazione solleticherà il nostro braccio. 
E poi all'improvviso siamo nel bel mezzo di una partita, tra finzione e realtà, a giocare il colpo perfetto con un brivido che ci sale dalla schiena e ci entra nel cervello facendo impazzire le sinapsi in un susseguirsi di scosse elettriche che provano a trasmetterci l' essenza della bellezza tennistica.

"La bellezza umana in questione è una bellezza di tipo particolare; si potrebbe definire bellezza cinetica. La sua forza e la sua attrattiva sono universali. Sesso o modelli culturali non c' entrano. C' entra, piuttosto, la riconciliazione tra gli essere umani e il fatto di avere un corpo."

                                                                
- David Foster Wallace –


Seduti sugli spalti dei campi più prestigiosi al mondo vestiamo i panni di conoscitori di bellezza, strabuzzando gli occhi di fronte alla perfezione del gesto tecnico del campione di turno. Dritti, rovesci, servizi e colpi di magia eseguiti con una tale naturalezza da banalizzare di per se uno sport assai complesso, come una prosa che rende comprensibile una poesia privandola al tempo stesso del suo fascino e della sua magia. 

Una metamorfosi si impossessa di noi quando da spettatori diventiamo giocatori, offuscati da un malsano agonismo che ci fa voltare le spalle alla nostra e all'altrui bellezza. La conoscenza si trasforma in ignoranza, il godimento in frustrazione. Incapaci di dirci bravo al termine di un punto magistralmente giocato o di applaudire chi, al di là della rete, ha appena messo a segno un colpo vincente di rara genialità.


Allora solo se saremo disposti a tenere gli occhi bene aperti ci accorgeremo che la vera bellezza è presente nella quotidianità delle nostre vite, senza il bisogno di ricercarla nei tornei più prestigiosi del globo.


giovedì 27 ottobre 2016

Testa o Croce

TESTA O CROCE




di Francesca Amidei

Stiamo per impattare la pallina ed il tempo si ferma.
Qualcuno ha messo in pausa la nostra partita, la nostra vita.

Un misterioso evento di dilatazione temporale per cui una frazione di secondo diventa eterna e veniamo risucchiati in un turbine di indecisione che accelera la nostra attività celebrale in un susseguirsi di ipotesi. Abbiamo rimosso dalla nostra mente tutti i dettami tattici del tennis moderno e non sappiamo più quale sia la scelta giusta, il colpo da eseguire in quella situazione di gioco. 

Però tra poco qualcuno schiaccerà di nuovo play così la pallina riprenderà a fluttuare nell'aria al di là della rete, la vita a scorrere veloce. 

Siamo ansiosi di scoprire se quella scelta, che non sappiamo ancora se essere razionale o impulsiva, ci abbia fatto vincere il punto o segnato la nostra resa.

"Quella scelta che può essere determinata dalla ragion pura è chiamata libera scelta. Quella che può essere determinata solo dall'inclinazione (impulso) sarebbe scelta animale. La scelta umana, in ogni caso, è una scelta che può indubbiamente essere influenzata ma non determinata dagli impulsi"

Secondo Kant la scelta è sempre libera nel senso che dopo la spinta impulsiva sarà la ragione a decidere. Quindi mentre corriamo verso la palla abbiamo già in mente che colpo giocare ma spesso capita che al momento clou la paura, mista a tensione, ci offusca la mente e irrigidisce il braccio. Allora chiudiamo gli occhi e lasciamo che la pallina urti la racchetta nella speranza che il nostro sistema nervoso, prima di andare in standby, abbia lanciato un ultimo giusto impulso al braccio e che quella sfera gialla pelosa rimbalzi lì nel punto che avevamo immaginato.

Nell'istante in cui lanciamo la moneta ci rendiamo conto di aver già scelto ma di non poter più fermare il suo moto rotatorio e con un brivido nel cuore speriamo che il nostro impulso di scegliere testa o croce risulti vincente.

mercoledì 28 settembre 2016

Re-Play

RE-PLAY




di Francesca Amidei

Arrivi al circolo, fai l' iscrizione, vai nello spogliatoio, poggi la borsa sulla panchina, allacci le scarpe, ti scaldi, scegli pari al sorteggio, inizi la partita...

Accendi il computer, crei una nuova cartella, apri word, decidi il titolo, imposti il carattere, carichi la foto, inizi a scrivere...

Possiamo ricreare ogni volta la nostra zona di comfort attraverso gesti standardizzati che ci evocano sicurezza e controllo ma, per quanto ci sforziamo, dopo i puntini niente sarà mai uguale perché saremo noi ad essere diversi. Le nostre emozioni saranno sempre imprevedibili come gli acquazzoni estivi, eppure ci illudiamo di aver sconfitto la paura di vincere e di aver acquistato un' eterna freddezza sui punti decisivi dimenticandoci che il nostro passato non rientra di diritto nel nostro presente.

Sembra paradossale ma a distanza di mesi ciò che frena istintivamente il nostro braccio nel colpire la palla o la nostra mano nel battere i tasti del computer è proprio il colore bianco del net difficile da superare, delle righe sempre troppo vicine o della schermata che dobbiamo riempire con la nostra scrittura, la quale è la traduzione di intimi sentimenti. Le paure ciclicamente ritornano, possiamo dargli nomi diversi ma la loro sostanza non cambia.

La sensazione al termine della prima partita di torneo è che siamo stati traditi da noi stessi ma in realtà il problema è che ci siamo dati per scontati pensando di scendere in campo e ritrovare, come per magia, lo stato di flow dei tempi passati.
Ciò sarà possibile solo se saremo disposti a rimetterci veramente in gioco perché Re-Play non significa ripetere automaticamente dei gesti ma rigiocare una nuova partita, riempire una nuova pagina bianca.

martedì 23 agosto 2016

La Grande Vittoria

LA GRANDE VITTORIA




di Francesca Amidei

Il nuovo millennio oltre ad aver rivoluzionato la geografia del tennis tanto da trasformarlo da sport di nicchia a fenomeno globale, l' ha rinnovato grazie allo sviluppo tecnologico di nuovi materiali che hanno posto fine all' era del legno. E questo ha portato diversi benefici migliorando le perfomance di chi a tennis già sapeva giocare, rendendo più soft l' approccio di chi si avvicina per la prima volta al nostro sport e in particolare permettendo ai baby tennisti di imitare i grandi con campi e racchette su misura creati ad hoc per loro.

Fin qui verrebbe da pensare viva l'anno duemila che ha reso più umano uno sport di per se tecnicamente molto complesso ma in realtà questa ondata di semplicità è una pura illusione, come un gioco di prestigio in cui rimaniamo abbindolati dal risultato senza però capirne il trucco.


Giovani tennisti in erba disposti a tutto sul campo pur di vincere sempre e subito, impazienti di scalare classifiche a suon di tornei under tra un finto c'mon e un pianto isterico rinviando l' appuntamento con la sconfitta, con la vita:

"Un uomo dovrebbe riconosce le sue sconfitte garbatamente così come festeggia le sue vittorie, Max. Col tempo vedrai che un uomo non impara niente quando vince. Perdere invece può condurre a grande saggezza. Il nocciolo della quale poi è quanto sia più gradevole vincere. È inevitabile perdere di tanto in tanto... Il trucco è che non diventi un' abitudine."

Questa frase tratta dal film Un' Ottima Annata viene pronunciata da Albert Finney nei panni di Henry Skinner per spiegare al nipote - sceso dalla Grande Londra nelle campagne provenzali per l' estate - il valore prezioso che ogni sconfitta cela al suo interno. Il ragazzino biondo al termine della partita di tennis persa contro lo zio dà sfogo alla sua ira piagnucolando e lanciando la racchetta finché non vede il legno cedere alla sua frustrazione, inconsapevole che una sconfitta fortifica e non uccide.

Il mondo in cui viviamo va veloce, ma questa filosofia di vita di volere tutto e subito non si sposa bene con il nostro sport dove il fisico e la mente hanno bisogno di tempo per crescere e rinforzarsi. Un uomo non impara niente quando vince ma incoroniamo chi trionfa a Wimbledon junores, perdere invece può condurre a grande saggezza ma condanniamo chi a vent' anni perde un match, a detta degli esperti, già vinto.


Siamo stati inghiottiti e lobotomizzati dall' isteria generale che avvolge le capitali più affascinanti del globo dimenticandoci quanto sia bella la vera semplicità. Sarà solo fermandoci un istante a fissare il tramonto sulle onde del mare o seduti su un sasso in riva al fiume circondati dal silenzio delle verdi montagne che potremmo comprendere nel profondo, con il cuore non con la testa, il trucco che dona magia alle nostre vite. Allora dobbiamo solo trovare il coraggio di chiudere gli occhi, di ripercorrere le tappe della nostra storia e come per incanto capiremo che la Grande Vittoria altro non è che la somma delle nostre sconfitte.

lunedì 25 luglio 2016

Neverland

NEVERLAND




di Francesca Amidei

Lì in fondo al boschetto con il sole a picco ed un silenzio tale che ti permette di ascoltare i tuoi pensieri, c'è il campo sei. La leggenda narra che tutti i maestri che vanno a lavorare sull' isola che non c'è, tranne quelli speciali, devono fare almeno un turno in quello che è stato rinominato dai più the hell's court. Ciò che fa veramente paura nel campo dell' inferno non è il caldo ma la solitudine. 

Dopo anni passati a parlare con noi stessi nel bel mezzo di quel deserto rosso delimitato da righe bianche chiodate che ci danno un falso senso di finito, abbiamo l' occasione di lavorare in un susseguirsi di campi dove tutto procede con la stessa naturalezza con cui gli ottoni si alternano agli archi. Respiriamo un' aria nuova e percepiamo che qui, depurati dalla nostra routine, sta accadendo qualcosa di diverso che inebria le nostre menti fino a restituirci quella passione primordiale che ci ha spinto anni addietro a scegliere l' arte dell' insegnamento del tennis. 

Siamo sopraffatti dalla stanchezza psicofisica, perché quella c'è e si  sente, eppure stiamo in campo giorno dopo giorno con un sorrisetto perpetuo dipinto sul volto che, inevitabilmente, smentisce la nostra proclamata impazienza di tornare al mondo reale. È come se camminassimo per sei giorni in bilico su un filo trasparente oscillando ad ogni passo senza cadere mai, tenuti in equilibrio dalla consapevolezza che in questa avventura non siamo soli.

CONDIVISIONE è questa la parola, il concetto che fatica a trovare concretezza nei nostri circoli. Eternamente sospeso tra la voglia di creare un team e l' umana paralizzante paura di fidarsi e affidarsi ad una o più persone con cui realizzare un progetto tennistico, di vita. Quindi condividere significa avere il coraggio di mettersi in gioco ed essere aperti ad un confronto quotidiano, e perché no anche allo scontro se necessario, con colleghi - soci - amici con cui viviamo in simbiosi giorno dopo giorno.

Queste poche righe dipingono un luogo reale a tinte chiare ma vivaci e per quanto ci possa sembrare solo un' utopia, come scrive Edoardo Bennato nella sua celebre canzone, non dobbiamo mai smettere di lottare per costruire la nostra isola che non c'è.


"E non è un' invenzione e neanche un gioco di parole se ci credi ti basta perché poi la strada la trovi da te..."

sabato 18 giugno 2016

Personality

VOLA COME UNA FARFALLA, PUNGI COME UN APE



di Francesca Amidei

Nel momento esatto in cui guardiamo per la prima volta il nostro avversario iniziamo a farci da subito un' idea di chi è e di come giocherà. L' apparenza non è tutto anzi spesso inganna, ma negli sport testa a testa ogni singolo dettaglio prima e durante il match può fare la differenza ed influenzare il risultato finale. La stretta di mano, il riscaldamento, il sorteggio sono solo alcuni delle fasi che precedono l'inizio del primo quindici. 

Azioni apparentemente di routine che se decodificate racchiudono in se una serie di preziose informazioni, una sorta di monologo silenzioso che tutti i tennisti recitano svelando paure e certezze che animano i loro pensieri negli istanti di crescente tensione prima dell' inizio del match. Quindi ci rivelano chi sono ovvero la loro PERSONALITÀ - l' insieme delle caratteristiche psichiche e delle modalità comportamentali che definiscono il nucleo delle differenze individuali, nella molteplicità dei contesti in cui la condotta umana si sviluppa.

Lei diventerà la protagonista nei momenti catartici dell' incontro dove o si ha la forza di reagire e venire fuori dalle sabbie mobili o si soccombe. E sì, perché sarà Lei a farci camminare a testa alta al cambio campo anche se stiamo perdendo, a spingere la seconda di servizio su palla break e a far percepire in ogni istante la nostra presenza fisica e mentale all' avversario, come un' ombra che non puoi seminare. Alla fine dell' incontro se Lei sarà stata al nostro fianco ne usciremo vincitori altrimenti, dovremo capire il motivo per cui ci ha sedotto e abbandonato lasciandoci sconfitti sul red court.

...Muhammad Ali touches countless lives with is unwavering spirit. He was not only a monumental athlete, but also a humanitarian and a global citizen. The legend of Muhammad Ali goes far beyond the boxing ring...

Alcuni diventano campioni, altri leggenda. La loro aurea riecheggia  oltre l'arena di gioco delimitata da corde o da righe bianche chiodate e gli sfidanti sanno che dovranno "uccidere" il loro nome prima di sconfiggere loro.

http://www.tennisworlditalia.com/tec/920/vola-come-una-farfalla-pungi-come-un-ape/

martedì 17 maggio 2016

To Fight

TO FIGHT




di Francesca Amidei

“Siamo all’ inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce…”


Queste parole pronunciate da Al Pacino nel film “Ogni maledetta domenica” all’ interno del suo celebre discorso alla squadra all’ alba della loro più difficile e decisiva sfida professionale, ci ricordano che ogni volta che scendiamo in campo si può vincere o perdere ma l’ importante è vincere o perdere da uomini.

Nel tennis c’è questa dimensione del combattimento uno contro uno come nel pugilato, ma a distanza. Non c’è contatto fisico ma un profondo e perpetuo studio dell’ avversario durante le varie fasi del match, per capire quand’è il momento di indietreggiare e difendersi oppure quando entrare dentro al campo per affondare i nostri colpi. Bisogna saper incassare gli aces, i winner di dritto, i  c’ mon e sferrare risposte vincenti, contrattacchi da fondo, pugni chiusi in segno di forza per aggiudicarsi - un quindici - un game - un set…
l’ incontro.

In quel rettangolo rosso terra o blu elettrico di 23,77m × 10,97m siamo soli. La verità è che abbiamo la libertà, così come nella vita, di scegliere se lottare su ogni punto senza avere la certezza di vincere o arrenderci trascinando noi stessi alla sconfitta. Questa è la sfida più grande di fronte alla quale ci mette il tennis, perdere e odiare noi stessi perché in campo potevamo dare di più oppure perdere e amarci perché la delusione sia chiaro rimane ma il rimpianto, quello no. 

Allora non impugniamo la nostra racchetta per farci harakiri ma maneggiamola come una spada per sferrare i nostri dritti e rovesci sul campo di battaglia, perché solo combattendo un match dopo l' altro potremo diventare dei veri FIGHTER e vincere la nostra personale guerra.

Così, quando arriverà il giorno di riporre per sempre la nostra fedele alleata nel fodero, saremo in pace con noi stessi solo se abbiamo scelto di lottare per uscire dalle fiamme dell' inferno e aprirci la strada verso la luce.

domenica 17 aprile 2016

Comunico Quindi Sono

 COMUNICO QUINDI SONO



di Francesca Amidei

Affermare che la comunicazione possa avere un ruolo cruciale in uno sport individuale come il tennis potrebbe risuonare strano o perlomeno esagerato. Eppure se ci pensiamo un attimo ci accorgeremo che durante un allenamento o un match dobbiamo essere in grado di interagire positivamente con noi stessi, di essere in sintonia con l' allenatore e di captare cosa passa nella mente del nostro avversario. E per riuscire a fare ciò dobbiamo diventare degli abili comunicatori, consapevoli del ruolo da prima donna che il paralinguaggio e la comunicazione non verbale rivestono nell' universo espressivo, con lo scopo ultimo di identificare il metodo di allenamento che più ci rispecchia come persone.

Il paralinguaggio è l’ arte di moderare e controllare la voce attraverso cinque componenti vocali considerate separatamente dal significato delle parole come il ritmo, la risonanza, il timbro, l’ articolazione, il tono e il volume. Anche la comunicazione non verbale, come facilmente intuibile, possiede delle potenzialità che vanno ben oltre il potere della parola qualora riusciamo a creare un sincronismo tra ciò che diciamo con le parole e ciò che comunichiamo con i gesti. In pratica per aumentare la nostra credibilità, ciò che diciamo con la parola non deve essere smentito da quello che comunichiamo con la gestualità delle mani, l’ espressioni del viso e la postura. Quindi ogni giocatore durante un dialogo con il proprio allenatore o osservando il suo avversario in un match, capterà una serie di informazioni “non dette” da decodificare che modificheranno la comprensione finale dell’ atto comunicativo.

Perché non chiedere direttamente ai protagonisti del nostro sport (i players non i coach!) se preferiscono un metodo di allenamento autorevole o cooperativo al fine di migliorare il loro rendimento in campo?

Usando uno dei social network più in voga del momento – WhatsApp – ho rivolto questa domanda a dieci giovani tennisti che abbiamo il piacere di allenare e quasi unanimemente hanno scelto il metodo cooperativo, cioè organizzare un metodo di apprendimento dove le tattiche e le tecniche sono presentate come problemi da risolvere e attraverso il quale l’ atleta scopre e sperimenta soluzioni e decide cosa e come fare.

In una parola vogliono la condivisione. Per crescere come giocatori, per diventare giovani uomini e giovani donne, per scoprire se stessi perché in fondo allievi lo saremo per tutta la nostra vita dentro e fuori il campo da tennis. Allora ricordiamoci, così come sappiamo a memoria le strofe e il ritornello della nostra canzone del cuore, queste tre semplici parole


 Comunico * Quindi Sono

mercoledì 23 marzo 2016

L' Essenza Del Coaching

COACHING: VEDERE OLTRE SENTENDO GLI ALTRI



di Francesca Amidei

L' essenza del coaching consiste nel liberare il potenziale delle persone per massimizzare le loro prestazioni. Per fare ciò il coach deve credere che gli atleti abbiano più capacità di quelle che stanno dimostrando in quel momento e deve pensare a loro non in termini di prestazioni, ma di potenziale.

Da queste poche ma significative righe estrapolate dal libro "The inner game of tennis" di Timothy Gallwey, si può intuire che per un coach conoscere la biomeccanica dei colpi è importante così come possedere acume tattico o saper curare la preparazione atletica ma non è essenziale come l' empatia. Ebbene si, è lei la qualità più importante che distingue i migliori allenatori da quelli meno efficaci perché è l' abilità che ti permette di assumere come proprio il punto di vista dei ragazzi che si allenano per meglio capire come percepiscono gli eventi e le emozioni e, ci fa inoltre comprendere, i loro interessi e bisogni. 

Il germe dell' empatia è un atteggiamento affettivo sincero e il suo terreno sono le abilità di comunicazione e soprattutto di ascolto perché non esiste nell' insegnamento del nostro sport errore più mortale di riproporre sempre lo stesso schema di allenamento. Ogni bambino, ragazzo o adulto che impugna una racchetta è prima di tutto una persona unica con le sue qualità da valorizzare e i suoi difetti da limare, che percepisce e immagazzina in prima persona sensazioni ed informazioni su ogni singola pallina colpita e non dobbiamo mai banalmente dimenticare che loro saranno sempre i primi allenatori di se stessi.

Allora ecco che tornano sulla scena i termini "potenziale ed empatia" che tradotti in una frase significano "vedere oltre sentendo gli altri" che si concretizzano magicamente nel campo da tennis lasciando giocare due rovesci a chi così può tirare più forte e sentirsi meno piccolo o far giocare due dritti a chi mancino non è ma un’ alternativa a quell' innaturale rovescio l' ha trovata perché alla fine, a giocare un irrazionale back di dritto a due mani magari, si diventa Fabrice Santoro!

http://www.cesareveneziani.pro/?p=195

giovedì 28 gennaio 2016

C' mon!

C’ MON



di Francesca Amidei

C' MON!  
Un urlo di battaglia…

C' MON!  
Una scossa elettrica che ti riporta in vita…

 C' MON!  
Un pugno chiuso che ti dona la forza…

C' MON!  
Un pensiero che ti porterà alla vittoria…

Quattro lettere tenute insieme da un' apostrofo e quattro significati tenuti insieme dalla voglia di non mollare mai.

Australian Open 2016  - Day 4: Thursday 21 January - Rod Laver Arena - h 7.00 pm local - Lleyton Hewitt vs David Ferrer

Dopo due ore e ventotto minuti di gioco sul punteggio di due set a zero e cinque games a tre nel terzo set tutto a favore del tennista spagnolo, Lleyton Hewitt ha detto addio al tennis giocato urlando, nel cuore della notte australiana, l'ultimo "c'mon" della sua carriera.

Queste poche righe, se lette con occhio attento, sarebbero sufficienti per tracciare un identikit dell' ormai ex tennista nato ad Adelaide nel Febbraio del 1981. Emerge infatti il suo indiscusso spirito combattivo ed una spiccata capacità difensiva esaltata da lob e passanti che gli hanno permesso di neutralizzare, nei seicentoquindici matches vinti da professionista, gli attacchi scagliati da ogni parte del campo dai suoi avversari. 

Queste sono infatti le armi che Hewitt ha messo in mostra negli ultimi quattordici anni accompagnate da un' instancabile passione ed un amore morboso per la competizione con il sorriso e la leggerezza di chi sa di aver lasciato un segno indelebile nella storia del nostro sport.

C' era una volta un ragazzino dai capelli biondi lunghi ed il cappellino con la visiera all' indietro, stile da surfista, che ha preferito impugnare una racchetta piuttosto che cavalcare le alte onde nel Pacifico. Il giovane Lleyton ci mise solo due primavere per trovare la sua onda perfetta che lo portò a vent' anni ed otto mesi a diventare il numero uno del mondo più giovane della storia.

Quello fu l' inizio del suo biennio d' oro tra il 2000 ed il 2001 con la vittoria a Wimbledon, agli Us Open ed il doppio trionfo alle Tour Finals;

Quello fu l' attimo in cui capì che da grande avrebbe fatto il tennista;

Quello fu l' istante in cui promise a se stesso che avrebbe lottato su ogni punto per i successivi quindici anni della sua carriera;

Quello fu semplicemente il momento in cui, alzando le braccia al cielo, gridò per la volta al mondo C' MON!.

http://www.tennisworlditalia.com/tec/916/c-mon/

martedì 5 gennaio 2016

Evolution Tennis Player

EVOLUTION TENNIS PLAYER




di Francesca Amidei

Il termine "Evoluzione" nella lingua italiana significa sviluppo graduale e completo. Un processo che richiede anni e anni per giungere al suo compimento e che si realizza step by step perché risulterebbe insensato e perfino follemente presuntuoso, voler bruciare delle tappe e credere di poter ingannare il tempo. 

Inoltre molto spesso accostiamo il sostantivo "crescita" al nome di giovani tennisti alludendo solo al loro progresso tecnico trascurando, per superficialità o forse per semplice ignoranza, che i dritti ed i rovesci sono gesti realizzati da una persona pensante e non da un automa meccanico. È vero che colpire mille palline al giorno tutti i giorni per dieci anni può condurre al professionismo e portare un atleta a calpestare i campi più nobili del globo terrestre e nella migliore delle ipotesi ad alzare al cielo trofei prestigiosi e perché no, a vincere anche uno Slam!

Però siamo proprio sicuri che una volta riposta per sempre la racchetta nel fodero non rimpiangeranno per il resto della loro vita, quella vera che inizia dopo i trenta, l' adolescenza che non ci fu?

La risposta a questa domanda probabilmente la conoscono solo coloro che sono arrivati a sfidare i grandi nomi del tennis mondiale e la cui vita è ruotata intorno a quella pallina gialla e pelosa. Però a pensarci bene è in tenera età che viene chiesto loro di isolarsi dal mondo esterno e concentrarsi solo su se stessi. 

Così avrà inizio l' Evolution Tennis Player che nel giro di pochi anni li trasformerà in piccoli professionisti in grado di servire a 180 km/h, di tirare dritti ipnotici da ogni angolo del campo, di rilasciare scontate interviste in inglese e sfoggiare la consueta camminata del tennista con a seguito il suo entourage. Fino a qui apparentemente nulla di strano, ci si limita a mettere in scena quel copione non scritto che dovrebbe portare la promessa di turno al successo, ma è tra i sedici ed i ventitré anni che si rischia di rimanere intrappolati per sempre in questa bolla di sapone rinunciando alle esperienze umane che la vita ti offre. 

Ma forse è vero, solo chi ha provato il brivido di leggere il proprio nome nelle classifiche WTA e ATP ci può convincere che un anno di scuola in più o una serata a fare l' adolescente non può compromette un' intera carriera ma può far sorridere di fronte ad una sconfitta.


"Il tennis è uno sport individuale. "Individuale" perché si gioca per di più uno contro uno, ma anche perché induce a concentrarsi su una sola cosa: se stessi. Se stessi ed il proprio gioco, il proprio ritmo, i propri colpi migliori e quelli peggiori, senti il tuo corpo, ascolta le tue sensazioni, il tuo soliloquio.
A non starci attenti si diventa dei mostri. Forse campioni, ma persone a metà, talmente concentrate sul proprio ombelico da non saper più interagire con il mondo."

Flavia Pennetta - Dritto al cuore