mercoledì 26 dicembre 2018

Servizio, dritto, rovescio e... Comunicazione


Servizio, dritto, rovescio e... Comunicazione




di Francesca Amidei

Oggi si parla di società della comunicazione. E altrettanto spesso si dice che tutto è comunicare.

Il primo modello matematico informazionale di Shannon e Weaver definisce la comunicazione come trasmissione. Ovvero l'unica cosa che realmente conta, è che una data informazione venga trasmessa da un punto iniziale A a un punto finale B. Successivamente si sono sviluppate altre definizioni come scambio di valori, relazione sociale e condivisione che considerano l'atto comunicativo come un processo.

In ambito tennistico poniamo l'attenzione sulla funzione pragmatica della comunicazione, vale a dire la capacità di provocare degli eventi nei contesti di vita attraverso l'esperienza comunicativa, intesa sia nella sua forma verbale che non verbale. La pragmatica è quindi presente nelle tre fasi dell'insegnamento del tennis: sapere - saper fare - saper far fare.

Arriviamo così a spostare il focus sull'influenza reciproca tra emittente e destinatario all'interno del processo comunicativo, per poter in questo modo analizzare le funzioni della comunicazione. Se consideriamo l'insegnamento del tennis a livello di avviamento e pre-perfezionamento le funzioni più ricorrenti sono quella poetica, conativa e denotativa. L'enfasi è posta rispettivamente sul messaggio, sul destinatario e sul contesto.

Inoltre, segmentando l'estensione del flusso comunicativo, a seconda dei soggetti coinvolti, si possono distinguere due processi comunicativi del tennis: la comunicazione intrapersonale, che comprende ciò che avviene all'interno del soggetto, e la comunicazione interpersonale cioè il processo comunicativo insegnante - allievo.

Infine nell'insegnamento del tennis ricorriamo a tre linguaggi della comunicazione che si esplicano in verbale, para verbale ed extra verbale. Si sta diffondendo una linea guida di pensiero che afferma la crescente importanza della comunicazione non verbale vista come un rafforzativo di un linguaggio verbale che, per esigenze di campo, deve essere coinciso, diretto, chiaro e con pochi e specifici feedback.

Quindi essere un abile comunicatore si traduce, a livello relazionale, in un enorme vantaggio dal momento che gli sviluppi professionali futuri della figura del maestro di tennis, prevedono che egli debba avere una duplice comunicazione nel tennis e del tennis.


venerdì 30 novembre 2018

Libertà di Espressione


LIBERTÁ DI ESPRESSIONE





di Francesca Amidei

La partita è, per sua definizione, una serie di azioni necessarie, secondo le regole, per arrivare alla vittoria. Un chiaro obiettivo comune perseguibile con stili diversi, che lascia ampia libertà di scelta.

Genio e sregolatezza - Un tennis di puro istinto e intuizione avvolto da un indiscusso talento che si manifesta a sprazzi. Colpi vincenti alternati a errori banali, alle volte inspiegabili, frutto di pensieri sconnessi che invalidano le prodezze di un braccio ribelle.

Solidità -  Un gioco ragionato in cui ogni colpo è la naturale conseguenza del precedente. Nulla è dettato dal caso. Esecuzioni tecniche non appariscenti che esaltano schemi tattici precisi, volti a logorare ai fianchi l'avversario.

Genio e sregolatezza -  Personalità strabordante, che vive di eccessi sull'onda dell'entusiasmo, stroncata dalla latitante attenzione che viene e va. L'equilibrio è qualcosa di sconosciuto per una mente che crea e inventa giocate, sbeffeggiando i principi tattici del tennis. Ogni colpo appare estemporaneo, scollegato dal successivo, alla spasmodica ricerca della giocata vincente.

Solidità -  Passione pura plasmata in grinta e concretezza. Un gioco fisico che non lascia spazio a preziosismi di alcun genere. Schemi chiari, accompagnati da una concentrazione perpetua, che sconfiggono la noia con esecuzioni al limite della perfezione.

Il tennis è uno sport democratico, abbraccia stili che sono agli antipodi tra loro. Entrambi conducono alla vittoria o alla sconfitta e, quando si perde, si prova lo stesso senso di frustrazione. La libertà sta nell'esprimere ciò che si ha dentro, fendere la racchetta nell'aria per dare consistenza alla propria scelta.

Nel binomio solidità/genialità non esiste giusto e sbagliato. Solo una frazione di secondo in cui decidere se colpire la palla in anticipo per donarle maggiore accelerazione o, impattarla in fase discendente, aumentando la sua consistenza con la rotazione in topspin.
Non sappiamo quando arriverà la fine ma, possiamo sempre scegliere, come giocarci la nostra partita.


"La voglio qui per me, la voglio qui per te
La voglio anche per chi non la vuole per sé
Tempi difficili, a volte tragici
Bisogna crederci e non arrendersi
Viva la libertà"

- Jovanotti -

mercoledì 31 ottobre 2018

Il Tennista


IL TENNISTA




di Francesca Amidei

Il tennista è una figura mitologica.

Un super atleta con abilità tecniche-tattiche specifiche e un flusso continuo di pensieri che identifica la sua umana natura. Imprigionati nel bramoso desiderio terreno di successo che ci accompagna da quando al mattino apriamo gli occhi sul mondo fino alla sera, per la durata di tutte le albe che vedremo, lungo quel percorso chiamato vita.

Il tennista con il passare delle stagioni si logora nel fisico e nella mente ma non invecchia mai. Conserva intatto lo spirito da eterno Peter Pan, perché è consapevole, che a vent'anni ti è concesso di solcare i palcoscenici più importanti al mondo, ma non puoi competere con i senatori della racchetta per la vittoria finale.

Gli anni che passano si portano via l'agilità di un tempo in cambio di un bene più prezioso, l'esperienza. Anticipare le intenzioni dell'avversario, capire la situazione di gioco per sapere cosa accadrà prima che succeda con l'obiettivo di annientare l'effetto sorpresa. Leggere le traiettorie nella sua mente frutto di un quantitativo consistente di punti giocati tali da intuire, con sicurezza analitica, lo schema tradizionale prescelto.

L'esperienza rimpiazza la scomparsa della reattività. Ci fa apparire ancora competitivi contro quei giovani rampanti che corrono confusionariamente di qua e di là, come i tergicristalli azionati a più velocità in questi noiosi giorni di pioggia irregolare. Rimanere calmi negli attimi topici della partita perché, a quasi quarant'anni, hai capito che nessun match è mai vinto o perso finché calpesti i granelli di terra, i fili d'erba o la resina dei campi veloci.

E soprattutto ci è stato rivelato l'elisir dell'eterna giovinezza tennistica: dopo ogni sconfitta si muore e si rinasce allo stesso tempo con la vita intorno a noi che, sorprendentemente, continua a scorrere nel suo naturale flusso di eventi.

"Sono sul campo perché mi piace ancora starci, perché mi nutro dei vostri boati e anche perché se oggi sono dolorante o non ho voglia di inseguire quel colpo troppo stretto, so che posso battere un ventenne fresco di titolo a Tokyo, servendomi solo dell'astuzia e di un serve & volley demodè. So che posso prendere un parziale di 7-1 da un cagnaccio come Bautista, ma anche che posso essere io ad addentarlo quando la palla si fa incandescente e non c'è più tempo per recuperare..."

- Roger Federer -


Il tennista è una figura mitologica perché più invecchia e più cresce in lui la voglia di inseguire sogni troppo belli e grandi. Provocare lo scorrere del tempo sostituendo le qualità fisiche con la forza mentale, nell'assoluta consapevolezza che la velocità in km/h della sua palla è in netta diminuzione ma che il braccio non tremerà più.

Essere tennista vuol dire giocare con l'imprevedibilità tipica di uno sport di situazione. Che poi non è tanto diverso da quello a cui tutti veniamo iscritti gratuitamente il giorno della nostra nascita, e non è il ripetitivo nuoto, ma la palestra della vita.


sabato 29 settembre 2018

Lo sport del Diablo


LO SPORT DEL DIABLO




di Francesca Amidei

Il controllo in questo sport non esiste. L'unica certezza per un giocatore di tennis è l'ultimo punto di un match, come per un essere umano è la morte. Il come e il quando sono variabili ignote ma è proprio il non sapere a donarci quel brio smarritosi nell'odierna società della programmazione.

Tenere a bada le emozioni per conservare la lucidità tattica e giocare giusto. Ciò avrebbe un senso logico se la scelta corretta in una data situazione, illustrata sui manuali di teoria, fosse garanzia di successo. Ma all'atto pratico il "giuoco" del tennis ha l'impagabile qualità di stupirci con i suoi bizzarri punti, dettati dalla volontà di due volubili menti umane che barcollano tra l'illuminazione e l'oscurità.

Solo nel contraddittorio mondo della racchetta in vantaggio di cinque giochi a uno ci sentiamo ancora così lontani dalla vittoria... Manca un solo game per archiviare la partita ma questo è il segnale con cui il Diablo scende in campo. La forza della disperazione, responsabile di recuperi celestiali, versus l'insicurezza primordiale che cancella i movimenti motori automatizzati nella nostra memoria, una tabula rasa che ci riporta ai tempi delle interrogazioni liceali.

Si piomba così nel caos tennistico. La fase 2.0 del match offre meno spunti tecnici ma si anima di euforiche emozioni tra momenti di pura trance agonistica e attimi di sana follia. Dallo sferrare colpi vincenti al mirare la O della scritta pubblicitaria sul frangivento a fondo campo, il passo è breve.

Ogni punto può riaprire il match fino alla stretta di mano finale. Sono  tante le occasioni per turbare le frivole certezze di chi si batte sul campo, da una palla fuori di un millimetro a una riga dal rimbalzo beffardo fino a un net che interrompe bruscamente la corsa della pallina adagiandola sul terreno di gioco. Attimi fuggenti che rimangono impressi nella mente tra frustrazione e voglia di riscatto alla ricerca di un'illusoria stabilità paradisiaca in un ambiente perennemente variabile.

Una volta iniziato a giocare il tennis si impossessa di te e spinge ogni lato del nostro carattere all'estremo. Questa continua lotta tra il bene e il male che c'è in noi, ci porta a odiare questo sport, ma al tempo stesso, l'amore per questa continua sfida ci impedisce di abbandonare il campo.

Il tennis l'ha inventato il Diavolo. In esso ha racchiuso le cinque emozioni madre: gioia, paura, rabbia, disgusto e tristezza per farci capire quale pulsante attivare nella grande console della vita.


giovedì 30 agosto 2018

L'estinzione della parola "bravo"


L'ESTINZIONE DELLA PAROLA "BRAVO"




di Francesca Amidei

Da sempre i modi per ottenere il punto sono essenzialmente tre: il colpo vincente, l'errore procurato all'avversario e l'errore gratuito, quando si sbaglia da soli. Una partita di qualità tra professionisti viene valutata dall'esatto equilibrio di questi tre fattori. Solo quando si rompe questo equilibrio e le situazioni vincenti si avvicinano al 40% si tratta di super tennis.
Del resto nelle categorie agonistiche l'errore gratuito è il fattore che maggiormente si manifesta così come se prendiamo in esame una partita tra giocatori under dove di rado una pallina, dopo aver rimbalzato in campo, prosegue la sua corsa indisturbata senza essere intercettata dalla racchetta nemica.

Ciò significa che mettere a segno un colpo vincente  richiede un sofisticato mix di tecnica, potenza e precisione. Inoltre per non ridurre questo gesto fugace a una mera meccanica esecutiva, dobbiamo includere una componente emozionale che il più delle volte decelera il braccio rubando fluidità al colpo. Questo fa si che i due contendenti invece di picchiare la palla si limitano ad appoggiarla dall'altra parte usurando la fascia centrale di campo, come schermitori che si muovono avanti e dietro all'unisono sulla pedana senza affondare mai la spada.

Da questa breve analisi si evince che fino ad un certo livello il mantra che aleggia sui campi nostrani è chi meno sbaglia, vince . Eppure nonostante la rarità, al colpo vincente non gli viene riservato il giusto tributo, anzi il più delle volte tende a innervosire oltre misura chi lo subisce. Un atteggiamento di nervosismo di fronte a una prelibatezza tecnica è sintomo di scarsa capacità critica, frutto di una società avara di complimenti.

La realtà è che il colpo vincente ci rende impotenti. Tolleriamo di poter tirare fuori o a rete perché almeno siamo riusciti a intuire le intenzioni del nostro avversario, al contrario, vedere la palla che ci sfila davanti senza la possibilità di toccarla fa azionare in noi la paura di essere vulnerabili.

L'errore procurato è il tassello che eviterà l'estinzione della parola "bravo" dal linguaggio tecnico del tennista. Infatti ha il compito di mediare tra l'errore gratuito e il colpo vincente, come una sorta di compromesso che ci dona la giusta serenità per rivolgere un complimento a chi ha scagliato con forza e precisione quella palla vicino alla riga perché, arrivare a colpirla, alimenta in noi la speranza di trovare il modo per reagire alle pallate nemiche.

Si è sempre detto che il tennis è come la vita eppure questa affermazione è tradita da una sostanziale differenza: in un caso amiamo le persone che ci stupiscono, nell'altro odiamo i giocatori che ci sorprendono.


lunedì 30 luglio 2018

La Campana di Vetro


LA CAMPANA DI VETRO





di Francesca Amidei

Orientarsi in un campo da tennis, anche se è uno spazio finito, è tutt'altro che semplice figuriamoci capire la direzione da prendere nelle infinite strade che il mondo ci offre. Ogni tentativo di stabilire un equilibrio è destinato a fallire, la sola possibilità è cercare la vita orientandosi di volta in volta con un gps interiore.

Come e quanto solo le due variabili che attribuiscono senso alle nostre esperienze. Il tempo che si dedica all'allenamento e la qualità in campo, che non racchiude solo l'efficacia dei colpi giocati ma lo spirito con cui affrontiamo quelle ore di fatica sotto il caldo sole estivo. Sei anni sono forse pochi per decidere cosa si vuole fare nella vita, come diventare un tennista, ma sufficienti per iniziare a coltivare un sogno al patto che non venga contaminato dal virus del successo, che fa volare via lo spirito gioioso di bambino per insinuare in lui le bramose ansie dell'essere adulto.

La frase "a parità di livello nel tennis vince il giocatore più colto" non è un inedito nel nostro sport, che richiede un certo acume tattico e strategico per prevalere di fronte a uno stallo tecnico. D'altronde la differenza tra un player e uno che gioca bene a tennis sta nelle scelte.  Capire la situazione e cogliere il momento adatto per poter sferrare in modo efficace i propri colpi, visto che non sono presenti dei giudici a bordo campo che alzano le palette per attribuire un voto all'esecuzione estetica del gesto tecnico.

Questa capacità si sviluppata con l'esperienza. Condizione imprescindibile per donare ai ragazzi un navigatore con più mappe - frutto del loro vissuto - per decidere se andare dritti, girare a destra, svoltare a sinistra o fare un inversione a U al fine di percorrere la loro strada. Allenamento, sacrificio e dedizione sono necessari per ottenere risultati sul campo allo stesso modo delle prime volte che un adolescente deve vivere per sentirsi completo.
Facciamo vedere loro il mondo esterno attraverso una campana di vetro per un nostro intimo timore, che gli possa piacere di più rispetto allo stare in campo. Eppure noi, che siamo stati un pò giocatori,  sappiamo che ogni goccia di sudore versata su quella terra rossa si riempie di significato solo se abbiamo scelto consapevolmente di stare lì.

Allora attiviamo la modalità offline affinché possano cercare la vita con il loro gps interiore capace di penetrare nel cuore e, scegliere liberamente di percorrere quell'autostrada tennistica che non prevede svincoli.


sabato 30 giugno 2018

Schemi Ribelli


SCHEMI RIBELLI






di Francesca Amidei

Il pathos, la capacità di suscitare un’intensa emozione, è il termometro che indica il livello di passionalità, concitazione, sofferenza in cui ci imbattiamo in un match. Più la colonnina di mercurio sale maggiore è il bisogno della nostra mente di attingere a schemi tattici precostituiti e vincenti. Limitare il pensiero in quelle fasi di gioco decisive proprie del tennis in cui la delicatezza del punto mette a rischio la lucidità di scelta inficiando l’esecuzione finale.

Creare dei file di gioco da selezionare per essere sicuri di fare la cosa giusta al momento giusto al fine di limitare la responsabilità del giocatore in caso di esito negativo. Delle ancore di salvezza calcificate nella memoria, ripetute in allenamento fino allo sfinimento e caratterizzate da un basso consumo energetico visto lo stress psicofisico a cui siamo sottoposti in quei frangenti di gioco.

Un problem solving studiato a tavolino per fronteggiare palle break o palle game durante un match, che conferisce sicurezza all'atleta con l’unico pericolo di limitarne il raggio di azione. Si rischia di soffocare quella voglia interna, incontrollabile, creativa di uscire dagli schemi che i più esperti hanno confezionato ad hoc per noi. Non si tratta di ribellione o improvvisazione  ma, semplicemente, di sentire dentro una giocata diversa che vista la situazione di punteggio può risultare anticonvenzionale e farti apparire presuntuoso agli occhi di chi quegli schemi li venera.

D’altro canto viviamo in una società schedulata che scandisce lo scorrere del tempo attraverso degli appuntamenti fissati a priori nelle nostre vite, come se in una partita a Monopoli dovessimo scegliere tra obblighi e doveri al posto delle inaspettate carte imprevisti e probabilità. La decisione finale si riduce al binomio sicurezza o scoperta. Scegliere tra una combinazione di colpi che rasenta la perfezione esecutiva con alte percentuali di riuscita ma bassa espressione di se, oppure, un’azione di gioco improvvisata di rara genialità ma con ben più alto rischio di insuccesso.



Ogni match meriterebbe di essere pensato allo stesso modo di un pittore davanti a una tela ancora candida. Quanto meno, questo è il tennis che piacerebbe a me.“



(John McEnroe)



Questo pensiero, di uno dei giocatori più estrosi nella storia del nostro sport, può far paura. Il tennis come espressione di una visione della vita che non è più bianca o nera, tipica dell’età di transito tra l’essere un ragazzo e diventare un uomo, ma che accoglie e accetta le molteplici sfumature di grigio. Ampliare il contenitore delle scelte tattiche sul campo aprendoci alle esperienze che la vita ci propone, pronti a diversificare tra svariati interessi per saziare la propria voglia di curiosità, astraendosi dal diffuso concetto di specializzarsi in un unico format di gioco.

Schemi ribelli per tornare bambini, come quando a tre anni ripetiamo “perché?” a raffica per comprendere quello strano mondo che ci circonda costringendo gli adulti a rispondere a domande per loro scontate. Per evadere dal piattume moderno e diventare la pecora psichedelica del tennis.

mercoledì 30 maggio 2018

Leggenda Personale


LEGGENDA PERSONALE





di Francesca Amidei

Un giorno, di tanti anni fa su un campetto nella periferia romana, abbiamo iniziato a giocare a tennis. Spinti dall'innocente senso di piacere che tale attività di per sé ci procurava ma poi, come d'incanto, siamo stati assaliti dalla devastante forza estrinseca che esige una ricompensa concreta o morale al nostro agire.

Il sorgere di un sogno (più poetico chiamarlo sogno rispetto all'impersonale e freddo termine "obiettivo") ci ha trasformato in agonisti, e dato il la alla nostra personale leggenda tennistica.


La leggenda personale è quello che si è sempre desiderato fare. Infatti da giovani tutto ci appare possibile, non disdegniamo di sognare  e desideriamo di raggiungere i nostri obiettivi. Con il passare degli anni, però, questa volontà innata svanisce sotto le pressioni della vita che ci portano a percepire quegli stessi sogni lontani e impossibili da realizzare...


Un cammino lungo attraverso le dune del deserto per raggiungere il nostro tesoro. Vittorie preziose come l'acqua e inevitabili sconfitte che, come le tempeste di sabbia, spazzano via tutte le certezze acquisite sul campo in ore di allenamento, mettendoci di fronte a una distesa informe di granelli.

A noi la scelta se continuare a lottare per arrivare alla meta o cedere il passo di fronte agli inevitabili ostacoli che il tennis, la vita più in generale, ci presenta. Ognuno ha la propria storia personale e risulta quindi inutile, per quanto di uso comune, cadere in banali e poco proficui paragoni tennistici. Affrettare o rallentare i tempi appare in egual misura sbagliato perché abbiamo l'esigenza di provare, sbagliare, sperimentare, cambiare per ottenere la massima prestazione. 

Evolvere nel gioco e nella mente per sostenere la pressione ricorrente che ci accompagna nei momenti caldi del match, al fine di concretizzare le opportunità che ci creiamo. Ciò che ci blocca sono le scadenze temporali prefissate, ovvero decidere a priori quando arrivare all'obiettivo. Eppure in uno sport complesso come il tennis, animato da un numero incalcolabile di variabili impazzite, diventa limitante mettere tali paletti come le date sociali prestabilite che coordinano lo scandire della vita.

Il vero sogno, quindi, altro non è che scegliere di fare ogni giorno ciò che desideriamo. Una filosofia di vita dentro e fuori dal campo da tennis che non potrà mai essere appagata o scalfita dal numero di  coppe vinte e dal raggiungendo del proprio best ranking.

Solo così possiamo custodire intatta questa volontà innata, in cui tutto ci appare possibile.

giovedì 26 aprile 2018

L'Umiltà dei Numeri Primi


L’UMILTA’ DEI NUMERI PRIMI 





di Francesca Amidei

All'inizio di ogni match c'è un favorito e uno sfidante. Il ranking, dato dalla sommatoria delle vittorie ottenute in un ampio lasso di tempo, ci racconta il valore di un giocatore. Questo complesso sistema di calcolo (degno di menti ardite in stile Bing Bang Theory) esclude una fondamentale variabile; il tennis, così come la vita, è uno sport di situazione.

Trovare soluzioni a una realtà in perenne mutamento che fatica ad assestarsi sotto la pioggia di dritti, rovesci e servizi che i due contendenti scagliano a velocità proibitive per l'occhio umano. Con l'ipotesi non assurda che, per diversi minuti quantificabili in tempo tennistico in dodici game, che tradotto significa aver perso il primo set 7/5, i tuoi colpi non trovano la via del campo togliendo credibilità all'appellativo di "uomo da battere" frutto di vittorie passate.


"Ho faticato davvero moltissimo oggi per ottenere la diciasettesima vittoria dell'anno. Sono stato spesso in difficoltà, ma quando si ha fiducia ed esperienza, non c'è motivo di farsi prendere dal panico. Il mio avversario ha giocato meglio e in diverse occasioni non mi sono entrati i colpi. Insomma è stata una partita molto equilibrata, entrambi avremmo potuto vincere. Se devo dire la verità, avrei meritato di perdere io."

(Roger Federer - Indian Wells 2018)


La partita odierna non tiene conto del numero di trofei che uno ha alzato al cielo nel fotoromanzo della propria vita, conta solo il qui e ora. Le molteplici bandiere rosse crociate che sventolano sugli spalti non sono sufficienti quando il ragazzo che hai di fronte, poco più che ventenne, sta lì per scrivere le righe più significative della sua storia come quelle che ti rivelano il colpevole in un libro giallo.

Eppure una soluzione alla bassa percentuale di prime e al numero in doppia cifra degli unforced, esiste. Si chiama UMILTÀ ovvero, la virtù per la quale l'uomo riconosce i propri limiti rifuggendo da ogni forma d'orgoglio. In termini tennistici  scalzare "il bel gioco" e mettere in circolo la voglia di vincere, quella vera. Che ci toglie il respiro, che ci fa gocciolare fino alla disidratazione, che ci fa gridare con quel brivido che percuote le nostre membra, ignari, se sia adrenalina o sudore freddo investito dal vento.

In una parola "FAME". Non quella che ti priva di energie e offusca il cervello nota come fame umana ma la sua parente più raffinata, la fame di vincere. Una prorompente forza interna che ci fa dimenticare dove siamo arrivati, una sorta di ritorno al passato sul campetto in periferia per sentire nelle vene quella leggerezza, quella passione, quella grinta che appartengono alla fanciullezza. Con il sole a picco sulla testa, senza conoscere la nostra destinazione, ma con l'unico desiderio custodito nel cuore pulsante di essere stati gli ultimi a mandare la pallina al di là di quella rete oscura.

Allora solo se recuperiamo un break nel secondo set a un passo dalla sconfitta. Solo se ci aggiudichiamo il parziale 6/4 prendendo a schiaffi la paura con fiducia ed esperienza, siamo degni di godere di quel rispetto incondizionato che la nostra classifica ci attribuisce.

Rispetto ottenuto grazie all'umiltà dei numeri primi.


sabato 31 marzo 2018

Loser


LOSER





di Francesca Amidei

"Può sembrare incredibile da dire, però è la verità: i tennisti sono dei perdenti. La maggior parte di loro vengono sconfitti praticamente ogni settimana nella loro carriera, visto che in ogni torneo c'è solo un vincitore. Solo un giocatore alza il trofeo, mentre il resto dei tennisti deve far fronte alla sconfitta."

- Kelsey Anderson -


Dentro o fuori, vita o morte. Non esiste la seconda possibilità, la partita del riscatto che possa colmare quel vuoto quando, dopo la stretta di mano, il nostro torneo è finito. Il numero dei tennisti in gara si dimezza ogni "day" con l'assottigliarsi del tabellone che recita ottavi, quarti, semifinali, finale. Centoventotto iscritti, centoventisette perdenti e un solo vincitore.

Uno scenario di pura follia per uno sport che non ammette mezze misure. Lo ami o lo odi, non può banalmente solo piacere. Il tennis porta alla pazzia, quella vera, sospesi per ore nel vuoto come appesi a una zipline con lo 0,78% di probabilità reale di vincere il torneo. Il culmine adrenalinico si raggiunge nel tie-break tra l'eccitazione di un match point e il terrore di un set point altrui da annullare, per non cadere nel baratro del terzo set.

Un gioco celebrare dove chi abbandona si consegna alla sconfitta. Ma vale anche bluffare, sparire dal campo per qualche games tra pensieri poco ortodossi e riapparire all'improvviso con un vincente che ha il dolce sapore della svolta. Stravolgere la situazione nel punteggio e nell'anima del nostro alter ego piombato in quella dimensione di impotenza che, pochi attimi prima, ci apparteneva. Dettare i ritmi del gioco al fine di condizionare le sue scelte.

Cedere o tenere testa. Essere succubi del tennis del nostro avversario o rispondere colpo dopo colpo con schemi che si distinguono dal piattume tattico dei consueti partner di gioco, per preservare la libertà di pensiero e di esecuzione. Addomesticare la sconfitta, mantenere il focus su ciò che vogliamo ottenere senza farci travolgere dagli eventi. È la regola madre del tennis cioè, essere più forte di un unico giocatore alla volta. Ma da esseri umani quali siamo ci viene facile cadere nel subdolo tranello di non accontentarci di vincere ma di volere tutto, ovvero una ricerca spasmodica della massima prestazione.

Le singole vittorie arriveranno, alcune scontate da favoriti, altre più inaspettate di quelle che svoltano la stagione. Eppure siamo lo stesso dei LOSER intenti, settimana dopo settimana, a patteggiare con la sconfitta al fine di assorbirla a livello intracellulare e incanalare quella sensazione di vuoto nella voglia ardente di una nuova sfida.

Allora abbracciamo la sconfitta, consapevoli di convivere con lei per anni tra compromessi e menzogne, in attesa di un inevitabile divorzio che ci farà diventare dei winners.




mercoledì 28 febbraio 2018

La Fede Tennistica


LA FEDE TENNISTICA




di Francesca Amidei

Il giocatore di tennis, in senso figurato, impersonifica il tredicesimo apostolo. A lui è richiesto di avere una fede incrollabile in se stesso e nel proprio gioco al fine di scendere in campo per trovare la massima espressione di sé. Mente e corpo sono coinvolte in una spirale di equilibrio, armonia, follia, sforzo e forza che si fondono per ottenere la pienezza del nostro potenziale.

Il segreto della motivazione è il Sacro Graal che ogni tennista brama di raggiungere. L'ultima meta prima di abbandonare la competizione con la quale, fin dagli albori, abbiamo instaurato un rapporto anarchico cioè siamo liberi e vincolati allo stesso tempo da rigide regole autoimposte che soffocano l'istinto invece di amplificare il piacere di giocare.

È come se non ci bastasse mai. Il rovescio è diventato inattaccabile, il numero di vincenti di dritto è raddoppiato, il kick salta in faccia agli avversari eppure sentiamo il bisogno di alzare l'asticella del rischio alla ricerca di un'adrenalina suprema che gli altri players definiscono folle ma, per noi, rappresenta l'essenza del gioco. 


Questa è l'incontrastata fede tennistica, meno banale di una vittoria o una sconfitta. Si è soli in campo con il proprio credo da seguire nella buona e nella cattiva sorte di una partita. Un'idea di tennis nata dal confronto tra l'io uomo, l'io giocatore e l'allenatore che si basa sul binomio inscindibile fidarsi-affidarsi.

Fiducia in se stessi unita alla capacità di farsi guidare in un percorso di soddisfazioni e frustrazioni da condividere nell'affascinante complessità della vita quotidiana. La ricerca del compromesso supremo in cui esperienza, follia e razionalità si amalgamano in un'unica performance dove saremo costretti a fare anche ciò che ci piace meno se vogliamo arrivare al piacere finale.

Concretizzare l'immagine vincente di noi che ognuno ha impressa nella mente fin da bambino. Essa può risplendere oppure scolorire dipende se saremo fedeli o profani nel recitare a suon di dritti, rovesci, servizi il nostro personale credo tennistico come dei filtri naturali che possono abbellire o oscurare le foto della nostra vita.


"Noi siamo ciò che proteggiamo, quello per cui lottiamo"


- Il Codice Da Vinci -



venerdì 26 gennaio 2018

Il Cammino del Tennista

IL CAMMINO DEL TENNISTA





di Francesca Amidei

Il Giorno Dopo...

La leggenda narra che al risveglio ci si sente leggeri come una bolla di sapone che si libra in aria cullata dal vento.

La realtà ci riserva un trattamento più brutale in cui nulla sembra così diverso da ieri.

Micro e macro obiettivi da raggiungere nel breve e nel lungo termine. Un flusso continuo di stimoli prestativi tecnici, tattici, mentali che ci porteranno al raggiungimento dell'obiettivo finale, di risultato.
Anni di allenamento per giocarci tutto in un unico match tra suspance, tensione ed eccitazione come nella trama di ogni thriller che si rispetti.

Quattro ore di disagio estremo perché si sa che la partita, quella con la p maiuscola, si decide solo al terzo set secondo la nota equazione matematica del tennis underground. Quattordicimilaquattrocento secondi, per noi il momento della verità. L'ultima chance dove sviolinare colpi, scelte, momenti di euforia e depressione sportiva per concretizzare quell'agglomerato di parole che racchiude il nostro obiettivo.

Può essere una finale o una questione di punti, gli ultimi da conquistare per leggere accanto al proprio nome quei due numeri che impersonificano la classifica tanto desiderata. Però se nella vita si è scelto di fare i tennisti bisogna essere consapevoli che nel gioco del tennis è paradossalmente possibile che chi segna più punti possa perdere l'incontro e quindi, in una realtà così infinitamente variabile, non possiamo stabilire a priori quale sarà la nostra Partita.

Il momento di alzare le braccia al cielo in segno di vittoria prima o poi arriverà ma non ci sentiremo dei supereroi come erroneamente immaginavamo. Le gambe forse cederanno svuotate dall'ultima scarica di adrenalina, il cuore per un istante batterà più forte accompagnato da un involontario e quanto mai sincero sorriso. Ma nelle successive 24 ore, per quanto ci sforziamo di emanare gioia, una frase ricorrente intasa la nostra mente come la più luminosa delle insegne a led "è tutto qui...".

Allora capiamo che non è il momento in sè ad essere speciale ma il cammino che intraprendiamo per raggiungere quel fugace orgasmo tennistico. Sperimentare, azzardare, cadere, ferirsi e rischiare di nuovo tra dubbi e poche certezze. Condividere questo meraviglioso viaggio alla comprensione di sè con chi ha fame di scoperta e non voglia limitarsi tristemente a impattare o lanciare la pallina dirigendo le danze come un damerino.

Il cammino del tennista risiede nel godersi appieno l'unicità di ogni istante dell'allenamento, sfuggendo dall'ossessivo pensiero del Giorno Dopo...

"Cerca la compagnia di individui che sperimentano, che azzardano, che cadono e si feriscono, prima di tornare a rischiare di nuovo. Rifuggi dalle persone che propugnano una verità criticando chi non la pensa come loro, che non hanno mai agito senza essere convinte di guadagnarsi il rispetto degli altri, che preferiscono avere certezze piuttosto che dubbi."

- Paulo Coelho -