di Francesca Amidei
Il tennista è un eterno sognatore con un indole folle che
oscilla tra euforia e depressione. Un incurabile ottimista che conserva intatti
nella memoria a lungo termine i ricordi più preziosi delle infinite battaglie
giocate, emozioni correlate come gioia o dolore riaffioreranno in noi quando
penseremo al tempo che fu.
In uno sport in cui l' unico epilogo possibile è vincere o
perdere dobbiamo riflettere a fondo sul rapporto che abbiamo con la sconfitta.
Sia chiaro che rosicare è lecito. Immaginiamo al termine di una partita durata
ore e persa al terzo set nel caldo estivo capitolino dove il campo prende le
sembianze del deserto del Sahara e le persone sane di mente, con la colonnina
di mercurio che non si schioda dai 38° centigradi, trovano ristoro in habitat
che più si addicono alle caratteristiche umane come piscine o spiagge.
Lo storytelling di un match, la sua narrazione, è dunque
qualcosa di unico. Un intenso scorcio di vita che non può essere banalmente
riassunto con uno sbrigativo e asettico "ho giocato male" se il
numero 6 é scritto in una sequenza tale che viene accostato al cognome del
nostro avversario. Consideriamo la sconfitta un fallimento, alle volte umano
nella maggior parte dei casi tecnico, ma dobbiamo vedere oltre il risultato
tanto che Stanislas Wawrinka si è tatuato sull'avambraccio sinistro questa
famosa frase di Samuel Beckett:
"Ever tried. Ever failed.
No matter.
Try Again. Fail
Again. Fail better."
Ogni volta che ci scriviamo a un torneo o lo vinciamo o abbiamo
fallito, ma non importa. La settimana dopo giocheremo di nuovo, falliremo di
nuovo ma con l'obiettivo di fallire meglio. Perseverare sempre negli stessi
errori e riproporre dinamiche comportamentali che sappiamo a priori essere
dannose al nostro tennis non ci porta alcun beneficio, al contrario è sintomo
di scarsa ricezione della realtà. Se vogliamo cambiare un tassello del nostro
gioco o del nostro essere dobbiamo sapere che subiremo nell'immediato una
possibile crisi di risultati e d'identità tennistica, prima di riuscire a
concretizzare nel match tali miglioramenti. Qui si esplica il concetto di
provare sempre, provare di nuovo.
Quindi provare e fallire sono le due facce della stessa medaglia
come amore e separazione, l'una determina l'esistenza dell'altra in un
susseguirsi concatenato di causa ed effetto. Qui risiede la bellezza del
fallimento come contenitore di emozioni. Quando un amore finisce non porta via
con se il pathos vissuto così, al di là del risultato finale, abbiamo l'obbligo
di provarci sempre anche solo per vivere il brio indescrivibile generato
dall'attesa o dalla speranza.
Accettare di poter fallire come persone ci darà quel quid in più
per provarci di nuovo come tennisti. Solo allora capiremo che ogni nostra
giocata può trasformarsi in un vincente o in un errore ma soprattutto che,
finché lo vorremo, ci sarà sempre un'altra pallina per provarci di nuovo.